William Friedkin è uno dei più grandi cineasti americani di sempre Premio Oscar per Il braccio violento della legge, nella filmografia di questo straordinario regista troviamo titoli come L’esorcista, Il salario della paura, Cruising, Vivere e morire a Los Angeles, tanto per citarli in ordine sparso.
The Cinema Show lo ha incontrato alla Mostra del Cinema di Venezia 2011, dove era in concorso con Killer Joe, rilettura hard boiled di Raperonzolo e Cenerentola, con Emile Hirsch, Juno Temple, Thomas Hayden Church e un monumentale Matthew McConaughey.
Un film spietato e ironico, dopo il quale non gurdarete più una coscia di pollo nello stesso modo.
William Friedkin, il tempo passa ma il modo che ha di raccontare la violenza è sempre straordinario.
Killer Joe non è una storia violenta, ma su ciò che la violenza è nella vita. Il film parla di conflitti, e nelle famiglie ci sono conflitti. C’è tanta violenza nella vita quotidiana e Killer Joe è basato su una storia vera, perché purtroppo è così che funzionano le cose.
C’è una grande attenzione nei confronti di ognuno dei personaggi del film.
Quando lavoro su un film mi concentro molto sui personaggi, non ho la presunzione di capirli al cento per cento, ma cerco di entrarci quanto più posso. Ognuno di noi ha provato le emozioni più diverse nella vita, anche tu, altrimenti saresti un vegetale. Il segreto è che ognuno di noi ha una lotta interiore in cui cerca di far prevalere la parte migliore di sé.
Ci sono persone che avrei voluto ammazzare nel corso della mia vita, ma non l’ho fatto, per motivi spirituali da una parte, ma anche perché ho paura delle conseguenze che potrebbe portare un gesto del genere. È lo stesso impulso che hai quando senti il desiderio di picchiare qualcuno, io ce l’ho ancora, ma non metto le mani addosso a nessuno da quando andavo al liceo. È qualcosa di innato in ognuno di noi, e io ho sempre voluto fare un cinema basato sulla realtà.
Il cinema contemporaneo è più violento rispetto a quello del passato?
Non c’è più violenza nel cinema oggi di quanta ce ne fosse quarant’anni fa, è solo resa meglio dal punto di vista visivo. Uno dei miei film preferiti è La furia umana di Raoul Walsh con James Cagney, un film di una violenza inaudita, Cagney uccide persone una dietro l’altra, ma il bianco e nero sfumava tutti, non si vede sangue uscire dalle ferite da arma di fuoco. Oggi è semplicemente diverso. Personalmente preferisco un cinema di suggestioni che di particolari, e spero di avere fatto capire al mio pubblico che quello che vedono nei miei film sono cose non vanno fatte, e non il contrario.
Ma il Texas è davvero un posto così terribile?
Un sondaggio di qualche anno fa ha evidenziato che le migliori scuole pubbliche degli Stati Uniti sono in Texas, nonostante sia un luogo davvero tremendo dove vivere e crescere. Evidentemente c’è qualcosa di strano in quel posto, lo dimostrano storie come quella che ho raccontato in Killer Joe.
Paradossalmente Killer Joe è una favola…
Una delle cose che mi ha attratto è il suo essere una versione molto distorta di Cenerentola. Il tasso di divorzi negli Stati Uniti è oltre il cinquanta per cento, cosa a cui ho contribuito anche io, ma tutti quanti facciamo degli errori. Il problema è quando perseveri e finisci con il creare situazioni su cui non si riesce ad avere alcun controllo. Dottie è la Cenerentola di turno con la perfida matrigna in attesa del principe azzurro.
Matthew McConaughey è straordinario.
Matthew è texano e conosce molto bene i personaggi di questa storia. Anche Juno Temple è stata fantastica, mi ha mandato un provino che ha registrato a casa sua con il fratellino di dieci anni che recitava la parte di Killer Joe e quando l’ho vista ho capito che avevo trovato un perfetto mix di ingenuità e consapevolezza. Non avevo idea di chi fosse Juno, da dove venisse. Poi ho scoperto che è inglese e, quando ci siamo incontrati dopo averla ingaggiata per il film, mi sono accorto del suo marcato accento britannico. Ma Juno sa davvero recitare, quindi non è stato un problema.
In Killer Joe c’è più cinismo o più ironia?
Non so dove sia posizionata la linea che divide cinismo e ironia, ma ritengo di essere cinico e ironico, quindi sono atteggiamenti che conosco bene. Non ho guardato questi personaggi con cinismo, ma con ironia. Sono cinico nei confronti di altre cose. La politica per esempio, una pratica che trasforma persone fondamentalmente oneste in esseri avidi e cattivi.
Il sogno americano è morto o non è mai esistito?
È esistito da qualche parte per molte persone, a meno che non fossero nere. Ora le cose sono cambiate, anche per le donne. Quando ho iniziato a fare questo mestiere lavoravo nell’ufficio posta di un canale televisivo ed eravamo tutti maschi; ognuno di noi sapeva che avrebbe potuto fare carriera e diventare un produttore o un regista. Per le donne, era la fine degli anni Cinquanta, questa possibilità non c’era. L’elezione di Obama ha reso le cose più semplici per la comunità afroamericana, ma non solo, perché nel momento in cui alla Casa Bianca può arrivare un presidente nero, allora rinasce la speranza per tutti.
Sono passati quarant’anni da L’esorcista: come lo ricorda?
L’esorcista era una storia che consideravo un meraviglioso melange tra eventi naturali e soprannaturali, è venuto fuori un gran casino, ma mentre lo realizzavo non era mia intenzione scuotere la nazione: il film era basato su delle storie vere e non c’erano fini politici o sociali. William Blatty e io ci siamo sentiti ultimamente, per fare di nuovo qualcosa insieme, ma è troppo pigro, ha guadagnato molti soldi con e conduce una vita comodamente borghese, al contrario di me. Ma è ancora uno dei miei migliori amici.
Lei è stato protagonista di un’epoca straordinaria del cinema americano, gli anni Settanta. Pensa sia replicabile un periodo come quello nel cinema di oggi?
Molte persone pensano che questo periodo sia una rinascita del cinema americano. Non io, ma molti ne sono convinti. Dal mio punto di vista, gli anni Quaranta e Cinquanta sono stati il periodo migliore in assoluto. Il tesoro della Sierra Madre, Eva contro Eva, Quarto potere, Spettacolo di varietà, i musical con Gene Kelly e Fred Astaire.
Oggi non abbiamo opere di quel livello e non le avevamo neanche negli anni Settanta. Il grande cinema per me è finito quando Cagney, Bogart e i grandi registi hanno smesso di lavorare. Pensate a Michael Curtiz: lo stesso anno in cui diresse Casablanca, firmò un film come Ribalta di gloria con Cagney, ha girato in carriera centocinquanta film, tra cui quattro o cinque musical con Doris Day molto buoni e l’unico film con Elvis che vale la pena guardare, King Creole.
Era un grandissimo cineasta. In quarant’anni di carriera ho girato sedici o diciassette film, credo, e con grandi difficoltà. Lavorare negli studios degli anni Quaranta è sempre stato il mio sogno. Negli anni Settanta abbiamo avuto la possibilità di lavorare senza troppe sofferenze, ma nessuno di noi ha mai girato Casablanca, forse solo Il padrino di Francis Coppola è di quella categoria.
William Friedkin vede ancora molti film?
Certo, vedo sempre film di Fellini, Antonioni, Resnais. E poi vado molto al cinema, ma non vedo grossi film in giro. Negli ultimi anni ho amato molto A Serious Man dei fratelli Coen, ma sono uno dei pochi. Personalmente credo sia una delle cose più divertenti che abbia mai visto. Ho molti amici ebrei, nonostante qualcuno abbia scritto da qualche parte che sono un antisemita, bah, e credo che questo film sia uno dei più fedeli ritratti degli ebrei americani mai realizzati.