Un tempo i cinecomics erano roba da nerd. Prodotti di nicchia, che non incassavano e venivano esposti molto presto sugli scaffali delle videoteche a noleggio insieme ai B-movie. Oggi sono blockbuster, “vanno di moda”, e li vogliono vedere tutti. E non hanno quasi più senso, tranne rari casi. Fagocitati dallo star system, pompati come un muscolo con gli amminoacidi, ipertrofizzati e adattati al pubblico di massa, come ogni forma d’arte “spremuta” per il profitto subito, hanno subito quel processo di digestione che le arti le distrugge rendendole alla portata di tutti.
Il franchise di Thor è quanto di più emblematico ci sia per questo modus operandi: troppo complesso sia per la mitologia racchiusa nei fumetti che per i rapporti tra i personaggi, viene letteralmente smontato e rimontato in base alle logiche hollywoodiane. Ne esce fuori la ricetta perfetta: protagonista bello come il sole, un po’ bamboccio ma con del talento ancora da esplodere, un premio Oscar venerato che porta ammirazione sicura, un antagonista di una bellezza più ambigua e una bravura nella recitazione che surclassa il protagonista, che “tanto il cattivo è sempre il più bravo”. Contorni misti: avvenente attrice innamorata e stupida, che si caccia nei guai anche se è un’intelligentissima ricercatrice, caratteristi vari ben conosciuti dalle serie TV, altri attori “anziani” che supportano il tutto, effetti speciali stratosferici.
Cosa rimanga dell’afflato epico è ancora da capire, sebbene The Dark World, seconda puntatina nel regno di Asgard, sia di gran lunga migliore del primo adattamento e sicuramente più vedibile di The Avengers. Ma i “cattivi cattivi che urlano” sono pure macchiette stereotipate con un aspetto che sembra uscito dalle serie giapponesi dei Power Rangers, e la love story che muove le gesta del nostro eroe è incapace di trasmettere le giuste emozioni. Ciò che resta è il bellissimo rapporto tra i due fratelli, un amore che va oltre l’odio reciproco, la brama al trono di Loki (su Tom Hiddleston è ormai inutile spendere parole, tanto è evidente la sua capacità attoriale) che annichilisce anche il suddetto amore, e duetti che davvero avrebbero potuto risollevare il valore dell’opera. Peccato che, alla Disney oggi, si debba subito stemperare un picco di intensità con gag, battute idiote da film anni ’80 mal realizzati, poke allo spettatore di turno e chi più ne ha più ne metta. Non sia mai che ci si possa fermare per più di ventidue secondi sulla riflessione del rapporto tra questi due fratelli-dei: l’universo potrebbe ripiegarsi su se stesso.