I Beatles, Rolling Stones, gli Who, le minigonne, Twiggy. E ancora, ancora e ancora. Se rinasco, è lì che voglio vivere, in quella Londra, negli anni Sessanta. È tutto partito da lì, e non potrebbe essere altrimenti. La musica, la moda, il teatro, persino il cinema inglese era bello in quegli anni, ma soprattutto un modo di essere, di affrontare la vita e il mondo. Libertà, apertura mentale, sfacciatagine e curiosità, creatività, innovazione. Sembra passato un secolo, in realtà è solo mezzo, ma vorremmo fosse oggi. Ma dato che non lo è, e non lo sarà più, allora vale davvero la pena di passarci almeno novanta, preziosi minuti, o giù di lì, grazie a My Generation, un vero e proprio tuffo nel passato, raccontato da un arzillo Michael Caine, che in quegli anni sapeva come godersi la vita.
Una cavalcata frenetica, perché tali e tante cose sono successe in quel decennio che era difficile condensarle in unico film. E infatti tante ne mancano, ma non è stato trascurato l’aspetto più importante: lo spirito di quegli anni. E per quanto entusiasmante sia riviverli, almeno sul grande schermo, è altrettanto chiaro che poco e niente di quello che i Sixties hanno prodotto e insegnato sia rimasto impresso nella memoria delle generazioni successive. A partire dal suo stesso narratore, paradossalmente, dato che Caine, cockney purosangue, è un convinto sostenitore della Brexit. E non perché un’Inghilterra isolata ed isolazionista vedrebbe nuovi fasti. Quegli anni furono favolosi proprio perché Londra fu il più grande crocevia culturale del mondo, oggi lo è, e probabilmente ancora per poco, solo finanziario ed economico. E nei soldi c’è ben poco di romantico. Al contrario della storia d’amore tra Marianne Faithful e Mick Jagger, delle canzoni dei Fab Four, delle serate al Marquee e le domeniche di maggio a Greenwich.
Non si smetterebbe mai di guardarlo e riguardarlo My Generation, usandolo come enciclopedia visiva, fonte inestimabile di ricerca e studio per chi oggi vive attraverso lo schermo di uno smartphone. Discorso da matusa (e il governo), eppure la nostalgia canaglia attanaglia, perchè favolosi quegli anni, che non torneranno più. E la colpa non è dei telefonini. Ma di chi li ha comprati ai propri figli. Perché è più facile che raccontare chi erano i Beatles e i Rolling Stones.