Leggere un qualunque romanzo di Thomas Pynchon è un’esperienza tra il mistico e il punitivo. La straordinaria prosa di uno dei grandi scrittori del Novecento americano è una delle prove più ostiche anche per i lettori più accaniti ed estremi, tali e tante sono le derive che le sue storie prendono. Vizio di forma non fa eccezione e l’idea di poterlo portare sullo schermo è a prima vista un’impresa improba, in cui poteva cimentarsi solo un cineasta di grande coraggio e dall’ego spropositato. In parole povere: Paul Thomas Anderson.
Il regista di Magnolia, Il petroliere e The Master non si tira indietro e con un grande lavoro di sceneggiatura racconta le peripezie del private eye Larry “Doc” Sportello, mantenendo intatte le atmosfere e soprattutto le disconnessioni mentali inevitabili dell’immergersi nel mondo di Pynchon.
Un Big Sleep senza tempo
In cui tutto si accavalla senza logica apparente, tasselli di un piano ben più grande di una storia in fondo poco complicata. La Los Angeles di Sportello è un luogo del sogno e della memoria, popolato da personaggi di mezza estate imbottiti d’acido, osservati da uno Stregatto che crea un’altra realtà con le sue nuvole d’erba. L’arrogante talento di Anderson si trasforma per una volta in un’umiltà cinematografica rara, si lascia andare insieme al suo protagonista e si rilassa nel piacere di perdersi e di far perdere, in un’esperienza che a tratti ricorda il Lynch di Strade perdute e Mulholland Drive. L’impresa si completa con un cast perfetto, a partire dal folletto Joaquin Phoenix, circondato da buona parte di Hollywood tutta in stato di grazia.
Vizio di forma è insieme a Ubriaco d’amore il miglior film di P.T. Anderson a oggi
Questo autore che vorrebbe essere Altman e molti altri, ma che dovrebbe invece pensare a essere se stesso, considerandosi pomposamente, e probabilmente a ragione, erede del cinema americano degli anni Settanta, e uno dei pochi che può ancora dare un senso artistico alla sua industria.
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