La Marvel Comics, da quando ha deciso di fare del suo core business la produzione cinematografica, ha perso un po’ di vista quello che realmente vogliono gli appassionati di fumetti. Esplosioni, complotti, eroici gesti, vanno anche bene, ma preferibilmente accomunati a un afflato epico e una costruzione psicologica dei personaggi che coinvolgano il lettore, e quindi anche lo spettatore, in maniera importante, creando un’empatia che è di fatto la grande forza dell’arte fumettistica.
Un equilibrio difficile da creare quando si devono fare i conti con un prodotto d’intrattenimento per famiglie, come di fatto sono quasi tutti i Marvel Movies, tranne rare e felici eccezioni, come il sottovalutato Hulk di Ang Lee, gli Spider-man di Sam Raimi e anche il reboot di Marc Webb, e la saga tutta degli X-men, con l’eccezione del primo Wolverine dello sciagurato Gavin Hood. Tutti film, questi, in cui il lato oscuro dei personaggi viene analizzato con attenzione, facendolo diventare motore delle successive gesta.
Purtroppo, già dal secondo Iron Man, dopo un primo episodio di assoluto valore, queste accortezze si sono andate perdendo, generando così prodotti discutibili come il secondo Hulk (quello con Edward Norton per intenderci), Thor e, anche se solo in parte, Capitan America.
Discorso a parte va fatto per The Avengers, giocattolone dichiarato e infallibile macchina da soldi destinata ad alimentare la fantomatica Fase 2 dell’universo Marvel Cinematografico che parte di fatto con Iron Man 3 e che vedrà numerose evoluzioni, sia sotto forma di sequel che di nuove franchise.
Nel frattempo, Tony Stark è rimasto segnato dall’esperienza di New York con i suoi superamici ed è molto stressato, mentre una nuova minaccia incombe sul mondo, il Mandarino, che grazie a un manipolo di soldati a realtà aumentata e alimentati da una nuova forma di energia. C’è bisogno di Iron Man, ma l’uomo dentro l’armatura non è più quello di prima.
Le premesse per un terzo episodio ricco di spunti e di contenuti in fondo c’erano tutti. Purtroppo Shane Black, a cui Jon Favreau ha passato il testimone in cabina di regia, preferisce prediligere l’azione all’introspezione psicologica, ed era anche lecito aspettarselo dallo sceneggiatore de L’ultimo Boy Scout, ma l’ipertrofia questa volta non funziona e quella che doveva essere una degna chiusura della trilogia, diventa invece un baraccone senza senso, privo di equilibrio narrativo, con le immancabili battute di Stark che non sempre colgono nel segno e che in alcuni casi sono anche piuttosto di cattivo gusto. La moltiplicazione delle Mobile Suite, poi, toglie molto dell’afflato epico del personaggio, che se da una parte vuole essere riportato a un livello più terreno, dopo essere stato il salvatore della Terra e l’uomo che ha sconfitto un Dio, dall’altra lo rende vuoto di interesse.
Resta il fascino di Robert Downey Jr., sebbene sin troppo gigione, mentre i villain Guy Pierce e Ben Kingsley sono ben poca cosa, e alla fine della fiera un pensiero aleggia: se questo è il Marvel Cinema, meno male che ci sono ancora i fumetti.