Era il luglio del 2009, quando Boris Sollazzo e il sottoscritto ci mettemmo in macchina e, a tempo di record raggiungemmo Milano dalla Capitale per andare a coronare il sogno di una vita: incontrare Sergio Bonelli. Una di quelle giornate di lavoro che ti fanno capire perché guadagnare poco e sbattersi sempre più dell’umanamente dovuto per fare il mestiere dello scrittore valga davvero la pena.
L’appuntamento era alle tre e mezza di un caldissimo pomeriggio per incontrare Sergio Bonelli nei suoi uffici di via Buonarroti e quello che ci siamo detti lo potete leggere qui. Oggi, come ogni 26 settembre, rileggere le sue parole alleggerisce la tristezza. Sergio Bonelli ci ha lasciati orfani della sua passione. E del suo far capire che i fumetti non sono una cosa da ragazzini, ma una forma d’arte complessa e meravigliosa.
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Anche per questo la vita di Sergio Bonelli, classe 1932, è stata un’avventura meravigliosa. Predestinata, figlio di Gianluigi e Tea, creatore di Tex il primo, eccezionale editrice delle opere del marito e di molti altri talenti storici del fumetto italiano la mamma. Dopo una lunga gavetta nell’azienda di famiglia, Sergio prende in mano quella che era all’epoca la Cepim nel 1957, trasformandola anni dopo nella factory creativa che porta oggi il suo nome e che in mezzo secolo di attività ha creato personaggi straordinari e indimenticabili come Martin Mystere, Dylan Dog, Nathan Never e molti altri, senza dimenticare i suoi figli preferiti, Zagor e Mister No, suoi alter ego a fumetti, soprattutto il secondo, nati dalla sua insaziabile curiosità e dal suo amore per i viaggi e l’avventura.
La grande forza di Sergio Bonelli è sempre stata quella di credere nelle persone.
Anche quando le idee dei suoi autori non incontravano i suoi gusti personali, capendo che il pubblico poteva avere diversi desideri e bisogni. Alfredo Castelli, Tiziano Sclavi, Luca Enoch, Bepi Vigna, alcuni dei nomi che hanno contribuito alla crescita e al consolidamento di questa realtà tutta italiana che negli anni Ottanta, con Tex, Dylan Dog e Martin Mystere che vendevano alla grande, sembrava poter finalmente sdoganare definitivamente la cultura del fumetto nel salotto buono. Ma non è stato così, perché purtroppo anche per le nuvole parlanti l’unica legge che conta e quella del mercato, e quando le cose sono cominciate ad andare male il giovane Sergio Bonelli ha pensato bene di andare contro la sua stessa concezione di serialità fumettistica dando via libere alle miniserie, formato tipicamente statunitense che, applicato al talento degli scrittori e disegnatori bonelliani, ha portato a piccoli gioielli come Demian, Volto nascosto e Cassidy. Ed eguale fortuna hanno avuto i romanzi a fumetti, corposi tomi che vendono trentamila copie di media, numeri che molta letteratura “seria” non vede neanche col cannocchiale.
Con Sergio Bonelli se n’è andato uno degli ultimi pezzi d’Italia di cui andare orgogliosi.
A dispetto delle critiche che lo hanno accompagnato per buona parte della sua vita e che gli arrivavano proprio dal suo mondo, accusandolo spesso di avere ridotto l’arte del fumetto italiano a un passatempo per ragazzini brufolosi. Ma albi di Dylan Dog come Memorie dall’invisibile, Johnny Freak, Il buio, Il lungo addio, o le saghe fantascientifiche che da anni caratterizzano lo sviluppo narrativo di Nathan Never, sono momenti di letteratura di genere di livello sublime in senso assoluto, messe in tavola da artisti straordinari, da Casertano a Piccatto a Castellini e tanti altri.