Isabel Coixet Castillo, classe 1960, catalana purosangue nata a Barcellona. E cineasta di professione, una passione nata da giovane coltivatata a lungo, prima scrivendo sui film degli altri, e poi messa in pratica, sempre attraverso le parole, scritte sulle prime sceneggiature per altri, finché non è arrivata l’occasione di poter scrivere per se stessa e passare dietro la macchina da presa.
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L’abbiamo incontrata per parlare del suo ultimo film, con protagonisti Sarah Polley, Mark Ruffalo e Debbie Harry. .
Isabel Coixet, il suo sembra il film di un cineasta indipendente americano, non si trova una radice catalana…
Isabel Coixet: Io non mi sento canadese, non mi sento spagnola, mi sento del mio quartiere. Sono stata da poco a Sarajevo e se prima ero poco nazionalista, adesso lo sono anche meno. Mio padre è castigliano, mia madre catalana, il mio fidanzato di Madrid, io vivo a Barcellona. Arletty diceva, quando era accusata di avere una relazione con un nazista: “Io sono francese, ma la mia figa è internazionale”. La mia vita senza me è un film che parla di una ragazza che ama la vita ed è stato considerato il miglior film canadese dell’anno in Canada e il miglior film catalano dell’anno in Spagna. Fate un po’ voi.
Ha dichiarato che quando ha concluso le riprese ha sentito un grande senso di vuoto…
Isabel Coixet: Il senso di vuoto è proporzionale al senso di pienezza che lo precede. In realtà sono le storie che scelgono me e spesso mi chiedono se sono ossessionata dalla morte, ma non è così, però mi è capitato di parlare con persone che stavano per morire e ci si accorge di quanto anche le piccole cose contino.
Il lavoro sui videoclip e sulla pubblicità ha influenzato il suo modo di fare cinema?
Isabel Coixet: In realtà mi piace vivere bene, per questo faccio videoclip e pubblicità, non credo d’aver mai guadagnato soldi girando dei film. Lavorare in questi campi, inoltre, ti permette di conoscere grandi professionisti e di poter avere a disposizione tutte le migliori attrezzature. Credo di averla sfruttata bene come esperienza, ho fatto molta pratica, ma nel momento in cui faccio un film cerco di dimenticare la maggior parte delle cose, se non la capacità di sintesi che quel particolare tipo di lavoro t’insegna. Ma non credo che si possa capire da un mio film che vengo da lì.
Il suo film ha avuto un grande successo internazionale, soprattutto in Giappone.
Isabel Coixet: Il grande successo in Giappone ha sorpreso tutti, dato che è stato il paese in cui ha avuto maggiori incassi. Le storie, comunque, quando vengono da un luogo profondo dentro di te, sono inevitabilmente internazionali. Credo poi che abbia contribuito molto il fatto che il film sia prodotto da Pedro Almodovar, un regista di fama mondiale che è una specie di garanzia di qualità. Un film che ho sempre amato molto è Happy Together di Wong Kwar-Wai e credo “La mia vira senza me” abbia il suo stesso fascino per quel senso di commistione delle culture.
Com’è stato il rapporto con Pedro Almodovar?
Isabel Coixet: Ah, si è comportato molto male. Ovviamente sto scherzando… Noi eravamo a Vancouver, quindi non è mai venuto sul set, però mi chiamava alle quattro del mattino per chiedermi come andavano le cose, ma non gli prestavo molta attenzione, dormivo, si è anche un po’ incazzato un paio di volte. Quando il film era terminato, comunque, gli è piaciuto molto e la cosa mi ha resa enormemente felice.
È previsto un seguito del film?
Isabel Coixet: Non è previsto un seguito, ma in Giappone faranno un remake e una serie televisiva in cui si racconteranno le storie di dieci donne in fin di vita. Quando mi hanno proposto la cosa io ho detto che lo potevano fare, ma senza di me, francamente credo sia l’ultima volta che racconto una storia del genere. I giapponesi, quelli sì che sono ossessionati dalla morte.
Lei è anche operatore di macchina nel film.
Isabel Coixet: In pubblicità succede che i registi usino direttamente la macchina da presa e mi è sembrato un buon modo per creare una complicità con gli attori da parte mia e con il pubblico. Circa il 70 % del film è girato con macchina a mano e gli attori hanno risposto bene. Altri registi lo fanno come Steven Soderbergh, altri preferiscono stare al monitor, io sul monitor però non vedo un cazzo e quindi preferisco guardare direttamente nell’obiettivo.
Le registe donne caratterizzano meglio i personaggi degli uomini?
Isabel Coixet: Se ti facessero un test alla cieca e ti chiedessero se il regista di questo film sia un uomo o una donna, credo sarebbe difficile da dire. Ho letto uno studio dell’università di Vienna in cui si dice che nei film girati da registi uomini non ci sono mai scene in cui si lavano i piatti. Certamente ci sono registi proprio come Kwar-Wai e Almodovar che hanno una forte sensibilità femminile e io apprezzo molto registe come Jane Campion o Margarethe Von Trotta, ma fondamentalmente quello che importa è il film, poi lo può girare un uomo, una donna, un nano, non importa, ciò che importa è che sia bello.
Come ha affrontato il difficile argomento del suo film?
Isabel Coixet: Ann è una donna molto pratica e così affronta la vita. Mi è capitato di parlare con due persone che sapevano che sarebbero morte di lì a poco e la cosa che più le ha impressionate è stato il colloquio con il medico. Per entrambi è stata una sorte di rivelazione. La cosa che mi interessava di più era il coraggio con cui Ann affronta la situazione. Mark Ruffalo ha avuto un’esperienza di questo tipo, aveva un tumore al cervello ma per tre mesi non lo ha rivelato a nessuno, anche perché sua moglie era incinta. Anche confrontarmi con la sua esperienza mi è stato di grande aiuto.
La scelta degli attori è stata molto importante.
Isabel Coixet: Abbiamo fatto un casting a Los Angeles e per Ann abbiamo visto tantissime attrici, più o meno note, ma mi era difficile immaginarle nel camper, sposata con le bambine o a lavare per terra all’università. La direttrice del casting mi parlò di Sarah, che non è americana ma canadese. Io l’avevo vista ne Il dolce domani, ma erano passati sei anni, quindi poteva succedere di tutto. Quando l’ho vista a NY ho avuto un’illuminazione, anche se non sono una persona particolarmente mistica. Per quanto riguarda Leonor non ho avuti dubbi, si tratta di un ruolo difficile che in poche battute deve infondere fiducia alla famiglia di Ann e al pubblico e nella scena del camper Sarah mi ha detto che non sarebbe mai stata così eroica, perché al posto di Ann sarebbe morta di gelosia. Alfred Molina mi ha fatto un favore, perché aveva letto lo script e gli era piaciuto moltissimo e la stessa Debbie Harry ha voluto fare il provino dopo avere letto la sceneggiatura. Su di lei non ero convinta, ma ci ha pensato lei con il provino.
Progetti per il futuro?
Isabel Coixet: Il mio sogno è girare una commedia divertentissima, perché mi piacerebbe far ridere tanta gente, solo che mi viene meglio far piangere. Infatti ho in mente una storia triste, con un sacco di gente sola, insomma le solite cose…