Twilight ha comunque vinto. Se si pensa a quanto incasserà, basandosi soltanto sulle previsioni, e si paragona la cifra al budget di realizzazione del film, si intuisce subito il perché. Inoltre, qualunque cosa diranno i critici, i fan della saga, soprattutto gli adolescenti, lo ameranno, magari facendoselo piacere per forza per seguire il gusto comune, come siamo convinti già accada per molti prodotti a loro destinati.
Ciò premesso, ci stiamo chiedendo se, visto che Thirteen non ci aveva per niente convinto, la regista Catherine Hardwicke non abbia avuto un aiuto quando ha diretto Lords of Dogtown, magari più che ispirandosi al documentario di Stacy Peralta, Dogtown and Z-Boys? Questo suo quarto film è una trasposizione molto, troppo fedele al romanzo della Meyer, con le battute prese pari pari dalle righe di dialogo del romanzo, ma decontestualizzate dai pensieri dei due protagonisti, affrettate per ragioni di tempo filmico e banalizzate da inquadrature realizzate con una macchina da presa posizionata un po’ a casaccio qua e là.
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La simpatia della regista ci fa dispiacere l’emissione di questo giudizio, ma quel che è giusto è giusto. Bisogna pure che si capisca, prima o poi, che cinema e letteratura hanno un linguaggio diverso, e che si torni alla vecchia teoria secondo la quale per rendere un buon servizio portando un libro sul grande schermo bisogna sempre tradirlo almeno un po’.
Twilight: Riduzione un po’ pallida con pochi tradimenti
Invece in questo caso si preme fin troppo l’acceleratore su una storia romantica e melensa, che tra l’altro chi non ha letto i romanzi non riesce ad afferrare appieno, dato che dà troppo per scontata la conoscenza di sfumature e dettagli importanti alla comprensione dei personaggi. Il lato vampiresco della vicenda è ridotto a scene d’azione eccessive e anch’esse immerse in un pathos inverosimile, ben poco si spiega della condizione particolarissima dei Cullen vampiri e della loro scelta e quasi nulla del trio di vampiri “carnivori” che diventano immediatamente loro nemici.
La semplicità delle battute, poi, rende quello che doveva essere un grande amore una manifestazione affettiva infantile e patetica (ben più che nel libro), e sebbene il doppiaggio sia con ogni evidenza tra i peggiori mai realizzati – lo diciamo con cognizione di causa avendo visto 15 minuti in anteprima al Festival Internazionale del Film di Roma in lingua originale, dove i due protagonisti sono decisamente più bravi e meno involontariamente comici – non si può attribuire ad esso tutta la responsabilità di una recitazione forzata.
Anzi, conoscendo gli interpreti e i precedenti film della Hardwick, diviene sempre più fondato il sospetto di chi scrive: che la regista si figuri l’aspetto tipico del singolo personaggio, lo fossilizzi in una espressione altrettanto descrittiva e costringa l’interprete di turno a mantenerla per tutto il tempo. Basti ricordare che in Lords of Dogtown fece recitare Heath Ledger con una dentatura finta che gli limitava l’espressività facciale…
Twilight: forzature e paesaggi magnifici
E a proposito di attori, se la scelta dei protagonisti e di Alice si era rivelata azzeccata, il resto del cast lascia un po’ perplessi: Mike Newton non doveva essere il bello della scuola, il più ammirato dopo Edward? E Rosalie non avrebbe dovuto essere una bionda bellissima, leggiadra e diafana, con un fascino incommensuabile? Cosa c’entra la pupilla della regista Nikki Reed, tutt’altro che eterea e, anzi, con qualche chiletto di troppo?
Unico aspetto interessante è il forzato accento che si pone sull’ambientazione: la foresta pluviale americana è davvero un personaggio pulsante nell’economia della vicenda, mentre nei libri era un pretesto, un contesto che serviva a giustificare alcune scelte e snodi narrativi. Invece qui gli scorci paesaggistici sono meraviglisamente vividi, quasi un omaggio a quelle terre semi-incontaminate.
Una curiosità: Stephenie Meyer compare in un cameo nel ruolo di se stessa, altra sorpresina da nulla che menderà i fan i visibilio. Quando si dice saper vendere…