C’è una scena di Big in cui Josh adulto, ovvero Tom Hanks, spiega al consiglio d’amministrazione dell’azienda di giocattoli in cui è stato assunto come consulente perché il palazzo transformer non sarà un successo. “Non capisco. Cosa c’è di divertente in un immobile che si trasforma in un robot?”. Ecco, questo è il problema di Macchine Mortali.
Un altro futuro distopico
Pianeta Terra, molti anni nel futuro. Una guerra planetaria durata sessanta minuti ha ridotto la nostra casa a un cumulo di macerie putrescenti. I pochi superstiti hanno cercato di preservare quanto era rimasto in piedi, trasformando quelle che una volta erano città in fortezze su ruote che vagano per il mondo alla ricerca di materie prime e cibo. La più potente tra queste è Londra, che dopo un lungo isolamento oltre Manica, ha deciso di scendere in Europa, per assimilare le città più deboli. Ma non è solo quello il suo obiettivo.
Sulla carta non sembra neanche male
Tratto dal primo dei sette romanzi della saga creata dallo scrittore britannico Philip Reeve, Macchine Mortali avrebbe dovuto segnare il ritorno dietro la macchina da presa di Peter Jackson, che ha deciso alla fine solo di produrlo, lasciandolo al suo discepolo Christian Rivers, storyboarder ed effettista che esordisce così alla regia.
Senza demeritare, perché Macchine mortali è tenuto con mano ferma e buon ritmo. I problemi arrivano, e non è una sorpresa, dal rodato comparto sceneggiatura, composto da Fran Walsh, Philippa Boyen e lo stesso Jackson. Il circolo dei Tolkieniani delle imprese impossibili. Come trarre un film di nove ore da un romanzo che si legge in due.
Macchine Mortali, una fan fiction nerd fuori tempo massimo
Anche divertente, per certi versi, mash up della prima trilogia di Guerre stellari, senza gli Ewoks per fortuna, con inserti da Terminator e altre citazioni in ordine sparso. Un gioco per nerd avanti con l’età, alla lunga purtroppo più patetico che altro.
Soprattutto, è l’ennesima dimostrazione che l’opera di Peter Jackson andrebbe quanto prima criticamente revisionata. Il simpatico neozelandese ha dalla sua la mastodontica trasposizione de Il Signore degli Anelli che ha abbagliato, in tutti i sensi. Ma forse è stato celebrato ben oltre le sue effettive capacità artistiche, che vedono ancora il loro picco nel lontano 1994 con Creature del cielo.
Un’occasione persa
Alla fine resta un certo rammarico, soprattutto per lo straordinario tempismo storico in cui arriva in sala Macchine Mortali. L’arrogante Londra colonialista del film messa a confronto con il Regno Unito attuale è un corto circuito cine-politico straordinario. Rappresentarla come una potenza isolazionista che ha sempre rifiutato l’Europa e che la usa solo per depredarla è un colpo di genio che andava sfruttato meglio, alla vigilia di una Brexit che potrebbe rivelarsi un futuro distopico tragicamente reale.