Fragole e sangue, il tempo è passato, le ferite restano, e l’America ne ha tante, molte anche provocate dai loro figli più capaci e per questo giustamente ribelli. Robert Redford è stato uno di loro, e in fondo lo è ancora dal suo buen retiro in quel di Park City, da cui ogni tanto esce fuori per raccontare le storie che gli stanno a cuore. Quella de La regola del silenzio forse particolarmente, racconto di un crepuscolo, quello di un’ideologia, ma non di un’idea, quella della giustizia per tutti e della democrazia che non sia solo una parola.
Un gruppo di amici quarant’anni prima resta implicato nella morte di una persona durante una rapina in banca, gesto che avrebbe dovuto finanziare la cellula rivoluzionaria di cui faceva parte l’oggi avvocato degli ultimi Redford. La cattura di una di loro lo costringe a mettersi in fuga per riguadagnarsi la libertà, senza più compromessi.
La regola del silenzio non si sottrae agli stilemi classici del cinema militante americano
Quello di Pakula, Penn e Lumet, tanto per citarne alcuni, in cui la fuga è metafora per eccellenza della ribellione. Redford ci mette qualcosa di più, come già proprio Lumet aveva fatto nel bellissimo Vivere in fuga, una delle prime grandi interpretazioni del compianto River Phoenix.
Al di là dei meriti artistici del film, che ci sono, grazie e nonostante all’impianto molto classico, anche nei suoi colpi di scena, La regola del silenzio è un film che porta indietro nel tempo per riflettere su una condizione che l’America vive come minaccia esterna, ma che nasce a casa sua, negli anni della contestazione, del Vietnam e dei cadaveri eccellenti, un periodo che ha fatto perdere fiducia alla parte più progressista del Paese e che ne ha minato le basi, rendendolo vulnerabile ogni giorno di più.
Niente accade per caso
E prima o poi tutti dobbiamo rendere conto delle nostre azioni. Redford lo spiega in maniera semplice, e non è la prima volta, basti pensare al suo folgorante esordio, Gente comune, destrutturazione della famiglia americana tra le più crudeli ed efficaci. Ne La regola del silenzio troviamo più amarezza e una rabbia mai sopita, ma anche la stanchezza di chi è in attesa di un erede che forse non arriverà mai.