Robert Zemeckis è un uomo fortunato, come può esserlo chi ha visto i suoi sogni trasformarsi in realtà. Ha conosciuto i personaggi dei cartoni animati, ha vissuto incredibili avventure con Forrest Gump, ha viaggiato nel tempo su una DeLorean e nello spazio su una strana navicella a forma di palla da baseball, ha scoperto l’elisir di eterna giovinezza, si è perso sull’isola di Robinson Crusoe. Non pago, ha anche cercato di creare una realtà alternativa con persone fatte di codice binario.
Tutte queste eccezionali esperienze, hanno fatto sì che Zemeckis abbia conosciuto l’animo umano in maniera profonda, portandolo a confrontarsi con il meglio e il peggio di ognuno di noi. È stato così ne La morte ti fa bella, ma anche nella trilogia di Ritorno al futuro, in cui il giovane Marty McFly aveva molti lati oscuri, e poi in film come Le verità nascoste e A Christmas Carol, quest’ultimo classico della redenzione per eccellenza.
Lo era a suo modo Cast Away e non è un caso che anche Flight prenda le mosse da un disastro aereo, evento traumatico che non mette in crisi l’arrogante pilota Whip Whitaker nei confronti della sua natura autodistruttiva, ma lo costringe a scendere a patti con il rimorso e la colpa, soprattutto quella di avere sprecato la sua vita.
Flight: oggi mi sento un dio
Flight, a dispetto delle apparenze, è un film tutt’altro che moralista, anzi, è un’opera crudele sulle conseguenze che può avere il talento sui comportamenti umani, quella pericolosa sicurezza che permette a chi viene toccato da un dono di sentirsi onnipotente. L’uomo visto come una divinità, un tema ricorrente nel cinema di Zemeckis, ma fallibile e difettoso. Whitaker non è diverso da Forrest Gump, come lui vive in balia di una condizione che non può controllare, una dipendenza dettata dalla necessità di essere imperfetto, per poter sopportare la responsabilità del saper fare qualcosa in maniera eccezionale. Un film significativo per il ritorno al cinema live action di un autore che, con il suo desiderio di sostituirsi al Creatore, cercando la formula che gli avrebbe un giorno permesso di fare un cinema davvero solo suo, si è schiantato al suolo senza riuscire a salvare equipaggio e passeggeri.
Flight è un film sulla rinascita, passando prima per l’Inferno, in cui il pentimento non significa negazione della propria eccezionalità. Un’opera esistenzialista, girata con quel talento visivo che più volte Zemeckis ha sfoggiato, talvolta con esagerata sfacciataggine, come nella splendida sequenza del disastro aereo, o meglio ancora nella scena iniziale in cui mette a nudo l’ipocrisia di Hollywood, offrendo agli spettatori sesso, droga e rock ‘n’ roll, perché in fondo è questo che vogliono.
Denzel Washington nei panni del cialtrone comandante Whitaker offre una prova come da tempo non gli riusciva, il cast di contorno è perfetto, il cameo di John Goodman, caratterista dell’anno, da antologia. Ma soprattutto, c’è una forma cinematografica meravigliosa.
La battuta dovrebbe essere “Zemeckis è tornato”. Ma in realtà non è mai andato da nessuna parte.
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