Approcciarsi alla visione di A-Team trasposto sul grande schermo dopo essere cresciuti negli anni Ottanta e aver visto ripetutamente tutti gli episodi della indelebile serie televisiva (allora li chiamavamo telefilm) comporta un certo numero di pregiudizi. E non ci vergognamo ad ammettere che le aspettative erano bassissime, ulteriormente sollecitate dalle recensioni negative d’oltreoceano che ci avvisavano del solito film fracassone pieno di effetti speciali. Immaginate quindi la nostra sorpresa quando, sin dalla prima scena, ci siamo trovati di fronte a un umorismo irresistibile, a quel tipo di battute e situazioni che fanno sentire i fan a casa e a un film che è rispettosissimo del suo fratellino televisivo.
Il cast è tutto azzeccato, a partire da Liam Neeson nei panni del Colonnello Hannibal Smith, quello dei piani ben riusciti. E questa già non è cosa da poco, visto che non si dovrebbe sempre e solo cercare di creare un nuovo pubblico, ma anche di non deludere lo zoccolo duro degli affezionati, coloro che con i valori dell’A-Team sono cresciuti. Già, perché proprio di valori si tratta e si è sempre trattato: quel senso civico e di giustizia profonda che il telefilm ha sempre avuto, la fiducia completa e totale nella propria squadra, nei propri amici, un affetto che supera qualunque litigio e soprattutto la lealtà e la fedeltà. Tutto questo nel lungometraggio di A-Team (che visto il botteghino americano faticherà a diventare un franchise, ma forse è meglio così) è ben presente, come in una sorta di prequel che spiega come i quattro si sono conosciuti e riconosciuti già a un primo sguardo, come per formare questa squadra inossidabile sia bastato a Hannibal guardarli negli occhi, leggere la purezza dei loro animi e diventare la loro guida.
Il film è denso di citazioni, non solo dalla serie originale, ma dalla cultura anni Ottanta tutta: di certo chi è stato adolescente in quegli anni apprezzerà di più, non solo il riconoscerli ed enumerarli, ma il sentore di quel pensiero comune che è andato affievolendosi e via via scomparendo, sostituito dal cameratismo e dal falso patriottismo che oramai altri film di questo genere ostentano, ma che non è quel profondo motivo che provano il Colonnello, Sberla, Murdock e P.E., e che nessuno potrà mai capire. Un sentimento racchiuso in uno sguardo di profilo del grandissimo Liam Neeson, a suo agio ormai in tutti i ruoli, qualcosa che “fa di un uomo un uomo” e che l’A-Team, McGyver e altri “telefilm scemi” hanno insegnato a noi ragazzi degli anni Ottanta.
Spara-spara senza anima: ecco come molti critici americani hanno definito il film. Ebbene, noi rispondiamo così: a Milano si dice “tamarro”, a Roma “coatto”, in molte zone d’Italia in altrettante varianti, ma la morale è sempre quella. Sopra le righe e al limite dell’assurdo l’A-Team è sempre stato, e per questo noi lo abbiamo sempre amato. Forse solo la scena dei container al porto, in buona parte realizzata in digitale, fa un po’ troppo “americanata” e si poteva tagliare, ma tant’è. Dire che questo film non ha anima equivale a non averlo visto. E la scena in cui si prende gioco del moderno 3D è strepitosa.
Unica nota negativa: il doppiaggio di P.E. da parte del sempre peggiore Pino Insegno. Il continuo borbottare del doppiatore storico Bruno Alessandro era l’emento caratterizzante del personaggio.
Le ragazze potranno farsi pagare il biglietto dai propri partner e godersi il fisico di Bradley Cooper, mentre loro si esalteranno con l’azione. Poi però dovranno convincerli a restare fin dopo i titoli di coda: ne vale la pena.