Una donna viene licenziata dai suoi stessi colleghi per non perdere il bonus annuale. Passerá il weekend a cercare di convincerli a cambiare idea per mantenere il suo lavoro. È tutta qui la trama di Due giorni, una notte, ultima fatica dei fratelli Luc e Jean-Pierre Dardenne, cineasti militanti che hanno stregato tante volte il glamour capitalista della Croisette, portandosi a casa tanti premi, tra cui due Palme d’oro.
La storia di questa donna privata non solo del suo lavoro, ma soprattutto della sua dignità e dei suoi diritti va ben oltre la confezione cinematografica, oltretutto magnifica, con una struttura narrativa perfetta, una regia sicura e senza una sbavatura, e una Marion Cotillard straordinaria protagonista. Sandra è un simbolo del mondo occidentale, ormai da tempo privo di certezze e dominato dal guadagno, ma soprattutto dal disprezzo che si ha per le persone che non possono vivere in posizioni privilegiate e di potere e sono invece costrette ogni giorno a restare in equilibrio sul filo del rasoio. Non si parla più di precari, perché i diritti essenziali sono una chimera per la maggior parte dei lavoratori, anche per quelli che hanno il “posto fisso”, equiparabile all’unicorno o all’araba fenice. Il livello è quello di un reality show della vita in cui tutto può accadere, e facendo una piccola digressione personale, in cui tutto effettivamente accade, persino in un ambiente teoricamente dorato come quello del giornalismo cinematografico. Azzannarsi alla gola per venti euro, a questo siamo ridotti noi che viviamo nello sfavillante mondo delle star, e che molti pensano facciamo una vita divertente. Non è così, e molti colleghi butterebbero a mare Sandra per molto meno di quello che viene offerto agli operai della fabbrica dei Dardenne. Probabilmente anche io lo farei, sapendo che molti non avrebbero pietà di me. E non bisogna nascondersi dietro la formula standard del “c’è crisi”. Quella c’è, sono le palle a mancare.
Ritrovarle, quello sì che ti fa sentire ricco.