Non ci sono dubbi riguardo il fatto che il proliferare di eroi di carta che approdano al cinema non può essere interpretato se non con un’ennesima crisi creativa dell’industri cinematografica americana. Nel caso di Spider-man, però, come già era successo per X-men, le note piacevoli sono molte più di quelle stonate, anche se per motivi differenti rispetto al film di Singer.
Innanzitutto, entrambi possono essere considerati dei film d’autore, ma dove Singer non riusciva ad infondere la dovuta spettacolarità alla pellicola, Raimi è riuscito invece a creare un film pieno di ritmo e colpi di scena. Tutto questo all’interno della sua personalissima concezione cinematografica, facendo di un prodotto con un budget spaventoso una sorta di remake apocrifo di Darkman.
Restano i temi portanti della vendetta e del riscatto, già visti sia in Darkman che in Gioco d’amore, così come il peso delle responsabilità caratterizzava The Gift e Soldi sporchi. Un film di Raimi a tutto tondo, quindi, regista che conferma il suo enorme talento e la grande duttilità, capace com’è di destreggiarsi in tutti i generi.
Il suo Spider-man è iconograficamente il miglior film tratto da un fumetto fatto fino a oggi (solo il primo Superman può competere) e le licenze poetiche sono così intelligentemente sfruttate da non far arrabbiare i cultori dei comics.
Tobey Maguire è un perfetto Peter Parker
Ed ha il grande merito di essere riuscito a dare uno spessore psicologico al personaggio, ma in generale tutto il cast si aggira senza problemi per il set, con nota di merito per il sempre bravo Willem Dafoe, tutta la produzione è naturalmente curata nei minimi particolari, resta il rammarico di dover vedere una percentuale di scene create in digitale sempre più alta. Va bene il progresso, ma il rischio di perdere il fascino del cinema inizia a farsi preoccupante.