Negli Stati Uniti non è mai esistita la nobiltà. Ma se dobbiamo pensare a una sorta di aristocrazia senza titoli nobiliari, allora la prima immagine che ci viene alla mente è quella di Jackie Kenndy, con il suo impeccabile stile e la rocciosa resilienza. Certamente non deve essere semplice confrontarsi con una tale icona della politica, della moda, della femminilità stessa. E Natalie Portman, con le sue interpretazioni altalenanti e la bellezza innegabile, è stata una scelta che inizialmente ha fatto discutere.
Pablo LarraÌn, dal canto suo, è sempre stato affascinato dalle storie di vita che raccontassero momenti peculiari nella psicologia già fragile delle persone. Lo aveva già fatto con No, i giorni dell’arcobaleno. E con il film già presentato alla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia sceglie di raccontarci Jackie davvero. Non con una biografia di impianto classico, ma catturandola nel momento stesso in cui ha smesso di dover essere la moglie del Presidente Kennedy e ha deciso di esserlo. Nel momento in cui tutta la sua forza, la sua personalità e le sue decisioni hanno acquisito un peso di importanza globale.
Jackie cattura Jacqueline
Nel ricordo confidato a un giornalista perché racconti come sono andate le cose, perché faccia uscire la donna che era fuori fuoco, dietro la burrasca mondiale in primo piano, quella che aveva il cervello di suo marito addosso dopo lo sparo, ma che non poteva permettersi di piangere e urlare.
Al ritratto potentissimo che ne esce fuori hanno contribuito in pari misura i tre fattori che meglio potevano farlo. Natalie Portman, estremamente somigliante soprattutto nei gesti misurati, nel rabbioso reprimere reazioni che trapelano solo da quei suoi incredibili occhi, porta sullo schermo tutta la forza di una Donna con l’iniziale maiuscola, quella che non reprime la sua fragilità e anzi la mostra come punto di forza, che con il gesto di farsi accendere una sigaretta cattura l’attenzione del mondo intero. Pablo LarraÌn la getta nel vortice doloroso, che amplifica inquadrandola sempre al centro di scene con la vertigine della prospettiva in fuga. Lei, colosso di forza in un mondo che sfugge via, che non le appartiene più, in quella stessa casa che aveva arredato davanti agli occhi del mondo e che ora non è più sua. Madeline Fontaine e la sua ricostruzione fedelissima degli abiti indimenticabili della First Lady fa il resto.
Se c’è una cosa che mai nessuno, nemmeno la persona più frivola, dimenticherà di Jackie, è la sua eleganza senza tempo.
Quel suo indossare abiti che erano già uno statement, frutto di una cura comunicativa che nel silenzio, nella misura, nella compostezza e nell’affermazione senza proferir parola avevano lasciato senza parole anche il resto del mondo.