Curioso constatare come lo spettatore presunto cinefilo – e purtroppo sempre di più anche molta critica – veda quello che ha già deciso di vedere quando si approccia a un film. Così, già solo dal primo annuncio in fase di pre-produzione, Dunkirk era un capolavoro, per molti il miglior Nolan di sempre e per alcuni persino il miglior film di guerra di sempre.
A poco sono valse le parole di Christopher Nolan stesso, quando dichiarò che il suo scopo non era tanto quello di girare un film di guerra, quanto piuttosto un epico thriller che “avvolgesse” completamente il pubblico. La massa informe che va a sentenziare quale sarà il pensiero comune decise che film di guerra, e capolavoro, doveva essere. E così è, basta farsi un giro su qualunque social. Ma noi siamo convinti che un contraddittorio sia sempre necessario, pertanto ci siamo approcciati a Dunkirk con i minori condizionamenti possibili.
Intendiamoci: Dunkirk è un film di guerra
Lungi da chi scrive rinchiudere la libertà narrativa in cassetti da schedario che compongono i generi, quello bellico comprende anche il racconto di strategie ed episodi tangenti le battaglie, non deve necessariamente porci al centro di uno scontro. E quella di Dunkirk, detta anche Operazione Dynamo, fu una delle mosse strategiche più cruciali per l’esercito inglese all’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
E anche se fu una mossa calcolata, ritirarsi anziché andare al macello, non può che far riflettere e far sorgere un paragone commovente. Solo qualche giorno dopo, il 10 giugno 1940, colui che era allora il nostro capo di stato pronunciava a Badoglio le parole “Ho bisogno di qualche migliaio di morti per potermi sedere al tavolo della pace accanto ai vincitori”. I suoi ragazzi, il futuro della nazione, erano insignificanti e sacrificabili pedine da mandare a morire senza camicie. Pochi giorni prima, il 4 giugno, il governo inglese i suoi ragazzi li riportava a casa, per lo più sani e salvi, dopo aver fatto leva su un autentico spirito nazionalistico.
Nolan firma così il suo primo film storico, utilizzando come location proprio la spiaggia che fu teatro di quella battaglia. E lo fa con una curiosa ricerca del realismo che, se da un lato vuole l’ambientazione originale e molti attori poco conosciuti solo perché hanno l’età giusta, dall’altro manca di sangue completamente, mostra fucili ben allineati con le canne lucide, elmetti senza nemmeno una piccola ammaccatura, divise illibate e comparse lentissime nel simulare il soprassalto da terrore.
Il primo horror di Nolan?
Più che di un film di guerra, Dunkirk presenta la struttura di un horror, una terrificante paura tra le più ataviche, tra quelle che ci tormentano fin da bambini: il mostro che c’è ma non si vede. Il Babau dentro l’armadio qui è il nazista, l’esercito nascosto dietro la vegetazione. Sappiamo che c’è, ci ha accerchiati, ci ha messo con le spalle al muro (d’acqua), l’immensità dell’orizzonte diventa opprimente… eppure non lo vediamo mai. Nemmeno il volto di un solo soldato nazista, nemmeno quello del pilota d’aereo, mai, in nessuna inquadratura. Un orrore ancora più spaventoso perché non ha volto umano, pertanto non possiede pietà, non si fermerà, non si arrenderà.
Gli spazi aperti si fanno terribilmente claustrofobici in quanto non possono essere percorsi, in un tempo filmico che si triplica. L’operazione Dynamo durò infatti una settimana, ma poche ore videro impegnato anche il cielo soprastante con i caccia della RAF, e un giorno ci volle alle imbarcazioni civili per andarsi a riprendere i propri ragazzi. Un atto eroico, che chiamò chiunque, nessun escluso, a correre al proprio dovere. Questo triplicare l’azione non sempre funziona a livello narrativo, e Nolan dovrebbe finalmente decidere, quando scrive una sceneggiatura, se vuole intrattenere il suo spettatore o se vuole sottoporlo a complicate sciarade le cui risposte sfuggono anche a lui, però è sicuramente una trovata originale, una strada poco percorsa sul grande schermo, specie in film di questo genere.
I grossi nomi vengono messi in secondo piano da queste tre sottotrame: né Cillian Murphy, né tantomeno Kenneth Branagh hanno il numero di inquadrature che si confà a star del loro calibro, e il racconto non brilla certo per ritmo. Il grosso merito di Dunkirk è aver dato un nuovo respiro a un racconto che in Gran Bretagna è leggenda, e che un po’ tutti al giorno d’oggi, tempi oscuri in cui la memoria corta semina un nazionalismo becero e superficiale, dovremmo riconsiderare. Un racconto che narra di quel giorno in cui chiunque avesse una “bagnarola” è diventato un uomo fondamentale per la marina britannica, per la guerra, per la nazione. Perché “non serve una mostrina per essere un uomo d’onore”.
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