Justice League è uno di quei film che spiega perché il mestiere del critico nell’era dei social è pericoloso. Non fisicamente, almeno non ancora, non ci sono breaking news come “Trovato con le gambe spezzate in un vicolo. L’aggressore lo colpiva con un lettore Blu-ray gridando Tarantino Akbar”. Ci si può però trovare a dover fare il conto con il Sentiment senza la “o” finale, ovvero lo stato d’animo della comunità social nei confronti di un determinato argomento. La definizione di Sentiment nasce in ambito finanziaro, indica l’umore degli operatori di borsa nei confronti dell’andamento della giornata di contrattazioni. Calza a pennello, perchè una serie di conversazioni negative nei confronti di un prodotto da parte di una fetta di consumatori importante in termini numerici e di target può determinare il successo o meno di un prodotto.
In ambito cinematografico non è sempre vero, molto dipende da quanto larghe sono le spalle di chi il film lo porta in sala. Parlando della Warner Bros., i colpi subiti vengono solitamente ben attutiti. I numeri non mentono.
- Man of Steel: 668$ milioni worldwide
- Batman vs Superman: 873$ milioni worldwide
- Wonder Woman: 821$ milioni worldwide
Nessuno dei tre ha superato la soglia fatidica del miliardo
Ma tutti e tre hanno avuto performance importanti, in particolare Wonder Woman, potendo contare su un budget di produzione decisamente inferiore rispetto ai primi due. Anche includendo nel budget i costi di marketing e publicity, ovvero il lancio promozionale, non sono prodotti in perdita, considerando l’intero sfruttamento di un prodotto audiovisivo, dalla sala all’home video, e poi tv, pay, streaming, aerei, navi, merchandising e licensing di brand storicamente straordinari come gli eroi della DC. Eppure, comunque un ritorno negativo del Sentiment ha influito sulle performance di questi titoli.
Non certamente l’indice di Rotten Tomatoes
Quella è una leggenda urbana, così come le opinioni degli influencer ingaggiati dalla major non hanno spostato che pochi dollari in più rispetto al quadro generale. Quello che ha nuociuto è stato l’uragano di commenti negativi da parte dei normali utenti social, e soprattutto dall’esercito delle tenebre formato dai preparatissimi critici da tastiera, pronti a scagliarsi anima e corpo contro chi commette l’errore di non conformarsi, insultando il film nelle maniere più fantasiose.
Insomma, banalmente lo spettatore/lettore deve poter riconoscere una critica da un’opinione personale. Di solito è semplice: se trovate le parole “noioso” e “brutto” passate oltre.
Detto ciò, passiamo a Justice League.
Non è facile arrivare dopo gli Avengers, già rodati alla grande, grazie alla produzione di massa della Marvel rispetto a quella DC, ai già avvenuti crossover tra i vari personaggi, soprattutto grazie a un universo cinematografico definito sulla base di una visione globale. Questo manca ancora alla DC, reduce da una continua ridefinizione dei suoi marchi principali, Batman e Superman, entrambi passati attraverso letture diverse, più o meno autoriali. Il primo con Burton, Schumacher e poi naturalmente Nolan, due autori e un artigiano con visioni diversissime, di fatto quasi tre reboot. E paradossalmente forse la cosa più interessante sull’universo di Gotham è la serie intitolata proprio alla città che ospita le avventure di Bruce Wayne e compagnia, che partendo da lontano crea una mitologia.
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Superman è stato ancora più problematico, soprattutto per la sorte tragica di Christopher Reeve, attore che ha incarnato l’essenza del supereroe anche nella vita, dopo l’incidente che lo ha costretto sulla sedia a rotelle, creando un confronto improponibile per chiunque volesse indossare il costume rosso e blu. Ci ha provato Bryan Singer, e il suo Superman Returns era molto interessante. Lo stesso vale per Man of Steel, notevole fino alla devastazione di Metropolis. In questi momenti ritorna alla mente la geniale battuta di Clerks sugli appaltatori esterni della Morte Nera (Kevin Smith, un altro che ha sfiorato Superman).
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La Marvel non ha un bodycount, la DC sì. Una differenza sostanziale, perché la morte dei civili è un elemento fondamentale nel mondo degli eroi Detective Comics, da sempre più cupo e realista, che esplode poi, letteralmente, in Kingdom Come, capolavoro firmato da Alex Ross e Mark Waid che un giorno, forse, vedremo sul grande schermo. Per adesso ci si deve accontentare e nonostante i difetti evidenti, i DC Movies hanno un fascino che manca a molti prodottti Marvel e che trascende l’impronta di Zack Snyder, che può piacere o meno ma che denota in ogni caso coraggio creativo non standardizzato. Il suo Superman cristologico è affascinante, e soprattutto vicino alla visione dell’eroe da Frank Miller in poi.
Il Batman di Affleck è uno dei migliori di sempre, Wonder Woman ha enormi margini di miglioramento, e se il buongiorno si vede dal mattino, Aquaman e Flash saranno due personaggi a cui ci affezioneremo, con la giusta miscela di tormento, guasconeria e faccia tosta.
Tutti questi elementi contribuiscono alla buona riuscita di un film che è per forza di cose interlocutorio, soggetto alla situazione classica del reclutamento della squadra e alla presentazione dei nuovi eroi. Ma c’è anche un’evoluzione nei rapporti tra i personaggi già noti, e fa finalmente capolino un po’ d’ironia, che stempera il climax nei punti giusti. Merito della presenza di Whedon in scrittura e in parte in regia, dopo l’abbandono di Snyder per motivi di famiglia. Mr. Buffy riesce in ciò che fino a questo momento Warner/DC ha fatto solo molto male, con Green Lantern.
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Vedremo in futuro, fatto sta che la necessità di dare un equilibrio, anche precario, a tutti gli elementi, fa sì che Justice League abbia un buon ritmo che lo fa scivolare via senza fatica, aiutato anche dalla giusta durata di due ore, che limita inutili reiterazioni nello scontro finale.
Justice League ricorda i western di serie B americani degli anni Sessanta. Ed è un gran complimento.