The Atlantic è una delle migliori riviste del mondo, da circa 160 anni. Ed è assai probabile che questa lunga esperienza abbia portato il magazine a essere anche uno dei migliori siti di informazione e opinione che è possibile trovare in rete.
Un giornale culturale di alto livello, ma alla portata di un target molto ampio, The Atlantic si caratterizza per i suoi lunghi articoli, dietro i quali c’è una grande ricerca, verifiche dettagliate, impreziositi da un’ottima scrittura e una leggibilità non comune. Insomma, praticamente la rivista perfetta, un modello per molti editori digitali, anche in Italia. Rivista Studio, The Vision, tanto per citarne un paio, hanno un taglio simile, ed è un bene che anche nel nostro panorama web ci siano dei progetti di questa portata.
Comunque, stamattina mi sono imbattuto in un interessante articolo su The Atlantic che parla di come la corsa al video content di Facebook abbia nuociuto gravemente al mondo dell’informazione digitale. In soldoni, anche se ovviamente la storia è molto più complessa e vi invito a leggere il pezzo, le cose stanno così: Facebook ha riscritto da sola le regole dei video su internet, inventando una nuova e ridicola metrica (tre secondi per una view, contro i 30” di YouTube) e dando, con FB Live, la possibilità anche a una scimmia con il telefono di creare contenuto video. Che di fatto, è ciò che accade nel 90% dei casi.
Le conseguenze di questa nuova linea di business sono state gravissime, a partire da una serie di tagli all’interno delle redazioni di molte importanti testate on line. Tutti tagli operati, naturalmente, nei desk di chi usa le lettere una in fila all’altra per comporre parole da inserire in frasi di senso compiuto che tutte insieme fanno articoli da leggere. Perché mai sprecare queste risorse, quando nel tempo di lettura di un articolo di 1000 parole possiamo fare altrettante views con un video su Facebook? Detto fatto, salvo poi avere dolorose sorprese. Come, per esempio, scoprire che la conversione pubblicitaria via FB è inesistente, e che quindi un video prodotto per il social è praticamente tempo perso e spreco di risorse. Sì, c’è senz’altro dell’engagement, ma sappiamo tutti benissimo quanto vale oggi, se non supportato da una campagna Facebook Ads.
Insomma, per farla breve, il non più tanto giovane Zuckerberg ha fregato un’altra volta quelli convinti che la strada più breve sia quella più semplice. Ma non per chi il mestiere dell’informazione lo fa per davvero, ed è quindi convinto che serva un livello di qualità accettabile perché un contenuto video possa essere caricato su una piattaforma. Cosa che non passa neanche per l’anticamera del cervello a quelli che grazie al loro smartphone si sentono contemporaneamente Enzo Biagi e Martin Scorsese, tenendolo malamente fermo mentre filmano un fascista che picchia e insulta un essere umano sull’autobus (la distinzione è fortemente voluta), senza intervenire in altra maniera. Ma della decadenza della civiltà occidentale parleremo in altri momenti.
Divido la mia vita con una montatrice cinematografica. So cosa vuol dire fare un prodotto video di valore. Costa molto più tempo, risorse e denaro che scrivere un articolo, lavoro che quando fatto bene richiede ugualmente tempo, ma per un editore anche un risparmio non indifferente. Fare un servizio video non è assolutamente necessario per la maggior parte degli editori on line, lo si produce per due ragioni. La prima è per avere un contenuto che possa generare un introito pubblicitario diverso, attraverso YouTube o una piattaforma video proprietaria su cui far girare inserzioni prima, durante e dopo il video. La seconda è che oggi è più semplice trovare qualcuno bravo a gestire il proprio ego che a tenere una penna in mano.
Influencer, YouTuber, fenomeni mediatici e commerciali che da anni sono padroni della comunicazione web, altro non sono che questo. Oltre a essere già un passato piuttosto inglorioso, al netto della festa di compleanno di Fedez, geniale operazione di marketing della signora Ferragni.
In questo triste panorama, ho una convinzione, che per una volta non mi pare essere un sogno. Quella che i gli articoli scritti bene, ricchi di informazioni, opinioni sulle quali riflettere e magari approfondire cercando altre voci, stiano per tornare prepotentemente alla ribalta. È per questo che qui ci teniamo sempre allenati. Non sia mai si torni a contare più di una maglietta o di un taglio di capelli.