Ogni tanto viene da chiederselo quale sia la reale utilità di questo o quell’altro film, non tanto per i meriti artistici, quanto per l’effettivo interesse che un film può generare in un pubblico più o meno vasto. Vizio di famiglia può senz’altro entrare con pieno merito in questa categoria, affiancandosi oltretutto a illustri colleghi.
Su tutti ricordiamo un sopravvalutato film di Billie August, a sua volta cineasta sopravvalutato, storia dei genitori di Ingmar Bergman intitolato Con le migliori intenzioni. Misterioso vincitore della Palma d’oro, ci si chiede tutt’oggi che cosa ce ne potesse fregare della normalissima vita della mamma e del papà dell’egocentrico regista svedese.
Così come ci si chiede senza troppi peli sulla lingua cosa ce ne possa importare delle vicissitudini di questa fittizia famiglia Douglas, estremamente verbosa ed essenzialmente poco interessante, dai primi turbamenti amorosi del più giovane rampollo della schiatta, alla paura di restare solo del patriarca Kirk, di gran lunga il migliore della compagnia pur se reduce da un ictus alla veneranda età di ottantasette anni.
Vizio di famiglia è un omaggio autoreferenziale a una dinastia.
Di attori e produttori che negli ultimi cinquant’anni ha segnato una traccia indelebile nella storia di Hollywood e che sentiva il bisogno di riunirsi per tirare le somme delle loro vite. Ma se è vero che i panni sporchi si lavano in famiglia, allora la cosa migliore da fare era evitare di metterli in piazza con un’operazione tanto raffazzonata. Fred Schepisi non riesce decisamente a dare quel tocco da elegante mestierante che ha caratterizzato la sua carriera americana, mentre tutta la narrazione è caratterizzata da una lentezza e un interesse assolutamente nullo nei confronti di ogni singolo accadimento delle estenuanti quasi due ore di questo inutile elogio di una famiglia che cerca di mostrarsi normale, ma che è in realtà sin troppo speciale.