C’erano Thor, I Fantastici Quattro, L’Uomo Ragno. E forse pure due coccodrilli. Erano gli anni Settanta, io ero bambino, mio fratello più grande di me di sette anni. Li comprava lui, quei fumetti meravigliosi, io guardavo le figure, come facevo con le centinaia di numeri di Topolino che avevamo in casa. Una tradizione di famiglia, passata da padre in figlio in fratello minore. Poi arrivarono i supereroi, con i loro costumi, i superpoteri, le avventure mirabolanti, i malvagissimi cattivissimi. Quando imparai a leggere, intorno al 1877, e fui in grado di decifrare quello che c’era scritto nelle nuvole parlanti, si aprì un mondo. E ringraziavo quei due signori i cui nomi ovunque campeggiavano. Jack Kirby e Stan Lee. Dovevano per forza essere i capi dell’Editoriale Corno.
Senza soffermarsi su particolari sacrosanti, che si possono scovare facendo banali ricerche on line, tralasciando la spartizione dei meriti creativi, una cosa è assolutamente certa: Stan Lee è stato per la cultura pop più importante di Andy Wahrol. Lee ha creato ben più di un universo letterario, di un colosso editoriale, ha creato una via di fuga per cinque generazioni di lettori, e basta questo a renderlo immortale. Non era un artista, Stan Lee. Kirby lo era, come Steve Dikto. Stan Lee era un genio. Lo è stato fino all’ultimo istante della sua vita. E proprio perché era un genio, lo sarà anche oltre. Lo è stato per come è riuscito, nel corso del tempo, a identificare l’universo Marvel con la sua persona. Non c’era bisogno di fare molto, se non essere l’uomo che resuscitò Capitan America. O che ha inventato la famiglia disfunzionale moderna, mettendo insieme una donna invisibile sposata a un uomo elastico, con un fratello problematico che si incendia e un amico del cuore duro come la roccia. Lee ha creato la forma del senso di colpa: una tuta rossa a righe nere che si arrampica sui muri. Ha insegnato a un dio a essere umano, ai ciechi a vedere nell’oscurità, ai miliardari ad avere un cuore. Finto e costosissimo. Per ogni personaggio su cui ha messo le mani, si sono per fortuna scritte tonnellate di letteratura psicanalitica, perché mettere sul lettino Peter Parker significa risparmiare tanti soldi in analisi per una moltitudine di adolescenti. Che hanno imparato a vivere aspettando la seduta settimanale dal giornalaio.
Per me è stato così. La vita non me l’ha salvata un DJ, almeno non solo, ma soprattutto il capo dell’editoriale Corno. E mi sono sentito così tanto in colpa quando ho scoperto che invece erano Andrea Corno e Luciano Secchi, che non persi neanche un numero di Bhang e Supercomics, dopo che la Corno fallì.
La Marvel non è più la Marvel da molto tempo. Il Marvel Cinematic Universe è fatto per un pubblico lontanissimo da me, com’è anche giusto che sia.
Per me il tempo si è fermato all’Editoriale Corno. E va bene così.