25 novembre: Giornata Internazionale contro la violenza sulle Donne. Quest’anno, a complicare il nome, è stato aggiunto anche “maschile”. Sono ormai diversi anni che mi viene richiesto da più parti di portare la mia testimonianza, la mia opinione, il mio vissuto in occasione di questa ricorrenza simbolica. Tanto che, a seguirmi per davvero, ci si potrebbe chiedere come è andata a finire. Solo una volta ho concesso un’intervista. Sul settimanale Gioia, a quella splendida penna che è Ilaria Ravarino, giornalista lucida e ficcante, Donna impegnata e anima empatica. Non mi sarei fidata di nessun altro: la mia storia non si strumentalizza. Soprattutto non si fa vittimismo.
Ebbene, ve lo posso raccontare com’è andata a finire: ho avuto difficoltà a decidere se scrivere o meno questo editoriale. Perché ciò che provo oggi è un misto di rassegnazione e disincanto, stanchezza nell’anima e disillusione. Profonda delusione e voglia di riprendermi la mia vita. Di lasciar andare, perché in fondo ne ho anche diritto. “Cosa scrivo alle persone?”, mi sono chiesta. “Come faccio a dire alle altre donne di non tacere, così ferita come sono dalla realtà dei fatti?”. Un uomo molto giovane, ma molto intelligente, mi ha detto “Parti proprio da là”. Un’amica coetanea mi ha intimato “Scrivi tutto, racconta la verità! Basta demagogia!”. E allora ecco: questo scritto, per quanto può valere, è dedicato a loro e a un altro uomo. Perché è ovvio che io estenda il mio odio per la violenza anche quando si compie sugli uomini. Sui minori e non solo. Ogni abuso è aberrante.
Riassunto delle puntate precedenti
Circa undici anni fa, ho intrapreso l’azione legale per chiedere giustizia sugli abusi subiti in casa. Capo d’imputazione di dodici righe. Parlo al singolare, ma la battaglia l’ho portata avanti insieme ad altre due Donne forti e bellissime, che la Natura mi ha dato come sorelle. Da sola credo che le forze mi avrebbero abbandonata molto tempo fa. E qui sta la prima considerazione fondamentale: in questo decennio ci siamo fatte forza a vicenda, in diversi momenti. Insieme. Perché in Italia le istituzioni ti lasciano completamente sola. Nessun supporto psicologico, nessuna garanzia di sicurezza fisica sulla persona. E una giustizia lenta che, per di più, ancora lascia che certi reati cadano in prescrizione. E anche se ci insegnano a essere invidiose e competitive, talmente bene da essere odiose le une con le altre, ci sono valori più grandi per cui dobbiamo stare insieme.
Flash forward: undici anni dopo.
La causa legale è stata vinta, in primo e in secondo grado. L’uomo, se così possiamo chiamarlo, è stato dichiarato colpevole di tutte le accuse. Nessuna attenuante. Ciò che sta in mezzo, tra ulteriori umiliazioni, dolori, difficoltà di ogni tipo, evito di riportarlo, altrimenti “Guerra e pace” diventa un Bignami. Basti dire che siamo stanche. Fiaccate nel profondo, senza più un briciolo di forza per continuare una battaglia che potrebbe andare avanti ancora e ancora. Non abbiamo fatto tutto questo per vendetta, ma per giustizia. E cosa abbiamo oggi? Arriverà un risarcimento ridicolo, una cifra talmente irrisoria che a malapena coprirà le spese sostenute durante questo calvario. E basta. Oltre al danno, la famigerata beffa.
Lui, il sociopatico, non ha nemmeno capito che ciò che ha ripetutamente commesso è un abominio. La sentenza non lo obbliga neppure a un percorso terapeutico, tantomeno lo espone al pubblico giudizio e, data l’età, di certo non lo manda in carcere.
Di qua: danni psicologici permanenti, perdite di lavori, di sicurezza, di affetti. La famiglia allargata che non ti vuole comprendere: l’omertà dei panni sporchi che si lavano in casa è radicatissima. In tutta la mia vita ho incontrato una sola persona, e solo di recente, che è stata in grado di ascoltare cosa succedeva, che mi ha domandato come avveniva. Nessuno lo chiede fino in fondo, nessuno vuole davvero saperlo. Meglio un’idea approssimativa. Nessuno che non ci sia passato ha idea di come ci si senta. E credetemi, non vi accuso: vi auguro di cuore di non averla mai.
Cosa vi dico in questo 25 novembre?
Si potrebbe continuare, intentare altre cause, chiedere più soldi in risarcimento di un danno che, comunque, non guarirà. Di vite che non verranno sanate. E quindi sono stanca, questa è la verità. Ferita ogni giorno da una società che ti dice di denunciare e non tacere, ma poi ti abbandona. Leggi inadeguate e giustizia immobile, nessuna assistenza, per avere cosa alla fine? Se il sociopatico in questione avesse voluto, avrebbe potuto farmi fuori e non sarei qui a raccontarvelo. Intanto si strumentalizzano le morti, come quella di Desirée Mariottini, e si lasciano in sordina decine e decine di femminicidi non utilizzabili ai fini elettorali. Intanto a Roma, la prima sindaca donna fa la ridicola burocrate e mette in difficoltà le poche realtà a supporto di chi subisce violenza, baluardi e rifugi che in passato aiutarono anche me, che dovrebbero essere sostenuti, rinforzati, quando non addirittura premiati. Intanto mi sento ancora più sola, perché anche tu che stai leggendo non ti rendi conto di quanto tu sia sessista.
Qualche banale esempio? Sempre su esperienza personale? Polemiche sui social su argomenti più disparati: dal cinema al calcio, al femminicidio. Uomini che usano toni fortissimi, se li alzo un po’ io sono isterica, ho il ciclo, sono acida, non faccio sesso e vi risparmio il resto. La donna deve ancora stare zitta, una opinione strutturata, anche se supportata da studi ventennali, è colpevole.
Ancora: faccio vita notturna, bevo e torno a casa il giorno dopo. Almeno una volta a settimana vedo uomini litigare e spesso venire alle mani per contendersi una donna. Quando ho alzato la voce io per lo stesso motivo, sono stata chiamata pazza. Finisco qui, ma prima di dichiararvi “puliti”, guardatevi allo specchio, che siete sessisti e non lo sapete. Tutti. Anche io.
E allora che si fa?
Lungi dallo sfogo personale, questa vuole essere anche quest’anno una testimonianza. Di come la differenza di genere, la percezione di ciò che a una donna è consentito fare rispetto a un uomo sia ancora così forte, anche nel luogo in cui tutto sembra più libero e illuminato. Il mio cinismo mi consente di ridere su tutto questo, per altre donne non è così.
Ci fate sentire sole, inadeguate, pazze, acide strillone. Ci fate domandare se sia davvero giusto parlare. Ci chiamate vigliacche se non abbiamo avuto il coraggio di denunciare subito, mettete in discussione la veridicità dei racconti, ci additate, ci giudicate senza nemmeno gli elementi per farlo e, ancora e ancora, ci fate sentire sole. Sole. Perché lo siamo.
Si fa presto a dire di denunciare: quanti di voi sanno davvero cosa viene dopo quella firma?
Cosa sto dicendo alle donne, in questo 25 novembre? Che è tutto inutile? Che parlare non serve? No.
Sto dicendo a tutti che ancora c’è tanto da fare, che se la mentalità non cambia (sui social, nei bar, sul luogo di lavoro, nel quotidiano), non lo faranno le istituzioni, e noi saremo sempre sole. E sto dicendo alle donne che non posso mentire. La denuncia apre una sofferenza e una serie di ulteriori abusi sociali pari a quanto avete già subito. Ma da quel momento non sarete più vittime. Sono delusa, disincantata, cinica, incattivita, sempre arrabbiata e stanca. Ma non è vero che non ho avuto nulla. Sono diversa. Sono cambiata. Non importa cosa gli altri pensano o cosa abbiano capito. C’è qualcosa che non si compra, ma si acquisisce. Qualcosa per cui vale la pena affrontare tutto questo.
Io non ho più paura.