Benvenuti a Marwen è tratto dal documentario Marwencol, vincitore tra l’altro del Biografilm Festival di Bologna nel 2011, e racconta la storia dell’illustratore Mark Hogancamp. Una storia che parte da un violento pestaggio nei suoi confronti da parte di un gruppo di estremisti di destra, che in America si camuffano bene, le cui conseguenze sono state devastanti. Hogancamp ha infatti perso completamente la memoria precedente, dovendo di fatto reimparare a vivere.
Benvenuti a Marwen, dove l’arte diventa viva
Ciò che evidentemente nessun trauma può cancellare è il talento, e un modo qualunque per esprimerlo. Per Mark si ripresenta sotto forma di una macchina fotografica e di bambole, action figure della seconda guerra mondiale per l’esattezza, con le quali crea un mondo ideale dove il Male viene sempre sconfitto. O quasi. Un mondo che comunque non poteva scappare a Robert Zemeckis, che di vite alternative se ne intende sin troppo bene, come ha più volte dimostrato nel corso della sua carriera.
Un’altra tappa di un lungo viaggio
Quello che un giorno ci porterà dove è arrivata la Jodie Foster di Contact, in un non luogo dove le dimensioni di spazio e tempo non contano. Il cinema di Zemeckis d’altronde è questo, un peregrinare tra mondi resi possibili grazie all’arte, proprio come fa Mark. Ma anche una ricerca continua, della perfezione tecnica, del genere per eccellenza, finendo con il fonderli continuamente, facendo di una commedia un dramma e viceversa, di un film di fantascienza un melodramma intimista, che è poi quello che poteva essere una spy story.
Se si dovesse fare un confronto calcistico, l’equivalente di Robert Zemeckis sarebbe Carlo Ancelotti, massimo esponente di quel calcio fluido quanto il cinema del regista americano. Ma con delle costanti fondamentali. Il tempo, prima di tutto, un’ossessione che nasce dal cinema che lo ha fatto crescere, quello di Spielberg, Lucas, Coppola. E la ribellione, sempre e comunque.
Benvenuti a Marwen, o del cinema sovversivo
Lo era Marty McFly un pericoloso sovversivo, che negli anni Cinquanta suona la musica del Diavolo. O Forrest Gump, che macina presidenti e soldi all’eterna ricerca dell’amore. Lo sono i cineasti tutti che non amano raccontare la vita com’è. Per questo ogni film di Robert Zemeckis è un dono, al cinema e a noi stessi. Piccoli momenti di ribellione a una realtà sempre più triste e assurda.
Momenti da immortalare, come fa Mark, a cui rende omaggio Steve Carell con una sontuosa interpretazione. E non ha paura di essere molto scorretto, Zemeckis, facendoci innamorare di bellissime bambole, sexy, procaci, disponibili e letali, come le donne di Russ Meyer. Rende omaggio alla forza delle donne come non piacerebbe al #MeToo, e a un cinema che non c’è più. Così come non ci sono più valori e certezze. A un bullo puoi ancora dire “Ehi tu porco, levale le mani di dosso”. Purtroppo non “Togliti quella divisa di dosso”.
Che bello se la vita fosse un film di Zemeckis.
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