Non c’è soddisfazione più grande per un regista che essere conteso tra i due festival più importanti del mondo. Yorgos Lanthimos ha raggiunto questo status già da tempo. E se ne approfitta. La favorita ne è lampante dimostrazione. Ma se lo può permettere, grazie alla folta schiera di estimatori che questa faida festivaliera ha contribuito ad alimentare.
La favorita, carburante per l’ego
Una situazione vista più volte nel corso degli anni, di cui è in fondo consapevole solo la corte senza fine dei palazzi reali del cinema, quelli di Venezia, Cannes, e delle residenze estive e invernali, Berlino, Locarno. Un re, nella maggior parte dei casi, gioca con i sentimenti di chi l’ha coccolato sin dalla nascita. Lo hanno fatto tutti, da Lynch a Von Trier, dai Coen a Cronenberg.
Il grande autore ama essere blandito, e ne ha ben donde, perché comunque in dote porta le sue creazioni. Ma esiste un’altra categoria, di cui fa parte Lanthimos. Quei registi, dalle trovate eccentriche, dallo stile confusamente ricercato, che gettano fumo negli occhi, lasciando intravedere lampi di genio, alternati a lunghe dissertazioni sul loro essere straordinariamente bravi. E per questo degni di essere contesi, di poter decidere da chi essere amati e riveriti di volta in volta.
La favorita è una riflessione sul potere
Quello che ti trovi nelle mani e quello che riesci a conquistarti. Lanthimos ci racconta, attraverso la vera storia del rapporto tra la Regina Anna d’Inghilterra e le sue due più strette donne di corte, quali conseguenze devastanti possa avere la gestione e l’uso del potere. Si possono rovinare uomini, donne e continenti interi in nome di un capriccio. Una storia molto attuale, che Lanthimos da greco ha vissuto sulla sua pelle, e che buona parte del mondo vive in questo periodo di profonda confusione. O forse, purtroppo, di nuova consapevolezza.
Un tema da sempre caro al regista ellenico, dall’imposta realtà alternativa di Dogtooth all’accoppiamento coatto di The Lobster, fino a Il sacrificio del cervo sacro, come il titolo egregiamente sintetizza. Tutto affiancato al volere del Creatore, autore, regista, cineasta, che ci impone una visione e un disagio, in questo caso diventato rapidamente ripetuta maniera.
Una missiva per l’Imperatore
Quando si è già conquistati due regni, bisogna trasformarsi da re a favorito. Dell’Imperatore. E il greco è riuscito egregiamente nell’impresa, confezionando un film che non può che piacere a Hollywood, sempre felice “de una spansada de cultura”. Soprattutto se innocua e ammiccante. Lanthimos aspira a Kubrick con l’ardita illuminazione delle sole candele, ma scimmiotta Greenaway nella sua continua ricerca del grottesco. E nonostante siano tre donne le protagoniste assolute, saranno gli uomini alla fine a vincere la partita. Non è colpa sua, lo dice la Storia, ma il dubbio che un compiaciuto maschilismo serpeggi nel cinema tutto di Lanthimos, che ricorda non poco quello di un altro “favorito”, il nordico pazzarello Lars Von Trier, ogni tanto sorge.
La Favorita sarebbe un film facilmente dimenticabile
Lo salvano dall’oblio Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz, tutte e tre straordinarie, con l’ultima che vince per un’incollatura sulla regina e una lunghezza sulla giovane collega. Ci evitano il travaso di bile a ogni grandangolo esasperato, firma in calce di Lanthimos sulle pesanti cambiali che ci sottopone. Ma d’altronde, è anche vero che ci ha spiegato assai bene di avere capito come funziona questo gioco. Sta a noi decidere se continuare a chiedere carta o lasciare il tavolo, lasciando ad altri un bluff in fondo facile da smascherare.