I R.E.M. si sono sciolti. Piccola nota per chi vuole fare l’infame mestiere dello scrittore. Ci sono alcuni articoli che necessitano di particolari fondamentali per essere redatti. Il sottoscritto inizia questa paginetta con The Great Beyond all’ascolto e un bicchiere robusto di Bowmore del ’97. Non sapete cos’è? Peggio per voi, informatevi, non sapete che vi state perdendo. Se siete astemi curatevi.
I ragazzi di Athens, Georgia, hanno deciso di lasciare con un bang e non con uno splash. E chi può dar loro torto, che hanno resistito quando 1/4 ha lasciato la band a seguito di un aneurisma al culmine della carriera del gruppo. Loro, che si sono fatti carico dei tanti pettegolezzi sulla salute del loro frontman gay dichiarato, che non si sono mai tirati indietro quando la musica poteva servire a scopi ben più elevati del vendere dischi e staccare biglietti.
Ne hanno venduti e ne hanno staccati, figuriamoci, non parliamo di indigenti che suonano sotto la metro, ma i R.E.M. hanno sempre avuto qualcosa di più da dire di tante band che hanno convissuto, o che sono state semplici meteore, nei trentuno anni di onorata carriera, timbrando con regolarità il cartellino delle chart. Anche più degli U2, rimasti al momento la band non mesozoica più longeva e fortunata, ma per molti versi non più amata. Michael Stipe, Mike Mills e Peter Buck sono riusciti a ricreare loro stessi concettualmente molte volte, mantenendo un sound dall’identità precisa e divertendosi, cosa che sempre traspare dalle loro produzioni, a sperimentare. Dal rock duro con chitarre metalliche e distorte, a ballads rimaste nel cuore di milioni di fan.
Si può discutere su l’effettiva qualità complessiva dell’opera dei R.E.M., non si può sindacare su l’impatto che questo gruppo ha avuto sulla scena musicale negli ultimi due decenni, insieme ai Pearl Jam, i Red Hot Chilli Pepper e gli stessi Dubliners guidati da Bono. Senza di loro l’industria musicale sarebbe probabilmente già sparita e questo, al di là del boom di vendite che avranno i loro dischi nei prossimi tre mesi, sarà un ulteriore requiem per un comparto che non ha capito ancora bene il concetto di futuro.
Ci restano i Radiohead e quelli che ancora resistono e abbiamo già citato. Ma non sono solo canzonette, come un cantautore napoletano direbbe. Perché non lo sono quelle di Bruce Springsteen, come non lo erano quelle dei Beatles e dei Jefferson Airplane. Una band che non sa più cosa dare, e non cosa dire, è uno specchio dei tempi, e questi sono evidentemente tempi cupi.
Il primo disco che ho ascoltato dei R.E.M. era Document, correva l’anno 1987, ed era un ottimo vinile da far girare su un Thorens TD 160 con puntina Shure. L’articolo sta finendo e all’ascolto c’è Supernatural Superserious dalla mia playlist di iTunes.
I tempi cambiano, ma io mi sento come un fan dei Beatles quando suonarono l’ultima volta sopra un tetto. Ma quella è un’altra storia e ammetto di avere avuto la fortuna di farmela raccontare da chi c’era. Almeno questa volta la vivo di persona. Ma con eguale malinconia.
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