Robert Anders, Cora Amburn-Lijek, Mark Lijek, Joseph Stafford, Kathleen Stafford e Lee Schatz. Questi nomi possono non dire niente, ma sono stati i protagonisti nel 1979 di uno dei più grandi kolossal mai girati. Nel senso che non fu davvero mai realizzato. Si chiamava Argo ed era una falsa produzione creata dalla CIA, in collaborazione con il governo canadese, per salvare le sei persone di cui sopra, funzionari dell’Ambasciata Americana a Tehran riusciti a fuggire dall’occupazione del presidio diplomatico da parte degli studenti khomeinisti, riparando presso la residenza dell’ambasciatore canadese.
L’operazione Argo fu una geniale idea di un agente dell’Agenzia
Tony Mendez, che dopo avere vagliato tutte le opzioni possibili, si convinse, e soprattutto fece lo stesso con i suoi superiori, che l’unica strada percorribile fosse quella di far uscire i rifugiati dall’Iran come facenti parte della troupe di un film di fantascienza, arrivata lì una settimana prima per dei sopralluoghi per le location.
Argo, una storia che doveva diventare un film
Ben Affleck la porta sul grande schermo trentadue anni dopo, semplificandola molto per dovuti doveri di drammatizzazione, per raccontare l’impresa di un vero eroe americano, come spesso accade per gli eroi sconosciuto e ligio al dovere e al segreto di stato. Affleck si taglia su misura il ruolo di Mendez e chiede a tre caratteristi straordinari – Bryan Cranston, John Goodman e Alan Arkin – di aiutarlo a portare a termine la missione impossibile di ricostruire uno dei periodi più cupi della storia recente degli Stati Uniti, facendola diventare avvincente come un thriller e divertente come una commedia sofisticata.
La presidenza di Jimmy Carter fu un quadriennio difficile per l’America
Appena uscita dalla follia della guerra in Vietnam e dalla farsa del Watergate a opera di Richard Nixon, costretto per le sue malefatte a dimettersi dalla Casa Bianca. Gerald Ford, vice che lo sostituì, non riuscì a tenere botta, dando modo ai democratici di tornare a governare otto anni dopo Lyndon Johnson. Jimmy Carter, magnate delle noccioline e impersonificazione dell’America rurale, lavoratrice e onesta, nonostante tutto, non fece un cattivo lavoro.
Ma era un uomo di pace e vicino ai diritti dei lavoratori, due caratteristiche poco gradite alle lobby finanziarie. In quattro anni di mandato fece cose straordinarie in politica estera, riuscendo quasi a mettere fine al conflitto israelo-palestinese, ma era troppo debole internamente per poter sperare in una riconferma. La crisi degli ostaggi a Tehran fu la lapide sul suo mandato, in un momento in cui la contrapposizione dei blocchi stava montando un’escalation che negli anni successivi avrebbe portato nuovamente il mondo sull’orlo di una guerra nucleare.
Raccontare una storia straordinaria come quella di Argo, in un momento delicato come questo, è stata una scelta davvero azzeccata per il bravo Affleck, regista eccellente e dalla grande sensibilità. Cineasta democratico, il premio Oscar per la sceneggiatura di Good Will Hunting ha voluto celebrare in un momento delicato la lucida follia dell’arte applicata alla politica, del genio che può contrastare l’oscurantismo religioso e culturale.
Argo, già dal titolo, riporta alla memoria avventure mitologiche, alla ricerca del vello d’oro, un peplum contemporaneo che racconta la follia dell’uomo e il tentativo di pochi valorosi incoscienti di riportare l’ordine nel caos. Purtroppo non salvarono l’America da dodici anni di disastrosa amministrazione repubblicana, né la millenaria cultura persiana dalla dittatura degli Ayatollah. Ma hanno lasciato una gran storia da raccontare.