Basta il titolo. Se c’è un aldilà sono fottuto. Solo per questo bisognerebbe vedere questo film. Che non è un semplice documentario, perché la vita di Claudio Caligari non si può ridurre a una storia da raccontare in un documentario, per quanto bellissimo, grazie al grande lavoro fatto da Simone Isola e Fausto Trombetta.
Gestendo accuratamente repertorio, il ricco backstage di Non essere cattivo e le interviste fatte ai suoi collaboratori e ai protagonisti dei suoi film, oltre che alla madre di Caligari, Se c’è un aldilà sono fottuto – Vita e cinema di Claudio Caligari, restituisce la figura di un uomo che era più di un cineasta.
Perché Claudio Caligari era un regista, uno sceneggiatore, un critico, uno spettatore, un rivoluzionario. Soprattutto un reietto, uno di quei personaggi tragici che vede chiudersi in faccia tutte le porte, mentre legioni di incompetenti lavorano, portando al cinema prodotti abominevoli.
La parabola umana e artistica di Caligari è una sintesi della politica culturale del nostro splendido paese, in cui, nella gran parte dei casi, meno vali e più fai carriera. Caligari non poteva quindi sperare, non tanto di avere successo, quanto proprio di lavorare. Perché di talento ne aveva troppo, lo ha dimostrato sin dai suoi primi documentari, militanti, politici, soprattutto tremendamente umani.
Come il suo cinema, che chiamare di finzione quasi non ha senso, perché per Caligari il cinema era la vita e la morte. Quella dei protagonisti di Amore tossico, cantico dei drogati nella Ostia degli anni Ottanta, post pasoliniano nei luoghi, nei tempi e nei modi. Un film straordinario, ancora oggi di una modernità devastante, di una poesia struggente, doloroso e persino gioioso, perché la vita fa schifo, ma come ci insegna Zavattini un raggio di sole può sempre scaldare per un momento.
Claudio Caligari, tre film in trentadue anni, decine di sceneggiature nel cassetto, alcune avanti di decenni. Raccontano anche questo Isola e Trombetta, nella storia di un uomo che di se stesso ha detto “muoio come uno stronzo e ho fatto solo tre film”. Ma gli stronzi sono quelli che non glieli hanno fatti fare i film, signor Caligari, e quelli che dicono di amare il cinema e di lei hanno sentito parlare solo quando era troppo tardi.
Di Caligari ce ne sono stati e ce ne saranno, penso sempre a Nico D’Alessandria, al suo L’imperatore di Roma, altro film eccezionale e sommerso, ai tanti, troppi cineasti indipendenti italiani che vorrebbero solo raccontare le loro storie, ma alla fine si preferiscono quelli che si raccontano addosso.
Il cinema italiano, l’industria e il suo cosiddetto tessuto culturale, dovrebbero chiederle scusa tutti i giorni, signor Caligari. Perché ci hanno privati di un artista straordinario, riempiendosi la bocca di belle parole che fatti non diventavano mai. Dicevano che avesse un brutto carattere Caligari, che non volesse mai scendere a compromessi. Per questo è andata a finire così, si è escluso da solo.
Ma non è così. Caligari è stato messo da parte perché era troppo. Bravo, lucido, spietato. Si sarebbe notata troppo la differenza tra un cineasta e un lobbista qualunque del nostro cinema. Non si poteva. Meglio aspettare che muoia, come uno stronzo appunto.
Purtroppo, per voi ovviamente, cari cialtroni, Claudio Caligari non è morto. Claudio Caligari è vivo, e lo sarà fin quando ci sarà qualcuno che dirà “Ma come, dovemo svolta’ e te te piji er gelato?”
Loro non le chiederanno mai scusa, signor Caligari, allora lo faccio io. Mi scusi, perché quando vidi a Venezia L’odore della notte non urlai a tutti che capolavoro fosse. Mi scusi, se non ho detto a tutti quelli che, sentiti con queste orecchie, dicevano “capito perché erano quindici anni che non faceva un film”, ma voi, voi, ma che cazzo ci fate qui.
Se c’è un Aldilà sono fottuto. Pure io, ma in quel caso spero di incontrarla, signor Caligari.