RaiPlay, molto più di quanto immagini. Questo il “claim” con cui il servizio pubblico lancia la sua piattaforma di streaming. E hanno ragione. Per una volta, fatto un debito bagno d’umiltà, I vertici di viale Mazzini hanno capito di avere per le mani una gallina dalle uova d’oro.
Per questo hanno chiamato, per il lancio, la panacea catodica per eccellenza, il buon Fiorello, che grazie alle sue indubbie qualità di battitore libero, e di artista che conosce le potenzialità delle diverse piattaforme dell’entertainment, sta lanciando RaiPlay nella maniera migliore. Il che vuol dire prima di tutto a un pubblico non ancora svezzato alla digitalizzazione, non digiuno della questione, ma non competente come potrebbe esserlo un ragazzino di dodici anni con un tablet, e senza la paura di usarlo.
RaiPlay è lo Stargate di chi fino a oggi ha usato solo il telecomando.
E di fatto, continuerà a farlo grazie alle smart tv. Età utente superiore ai sessanta, per cui Netflix e Prime Video sono icone sullo schermo da 40”, ma l’idea di poter scegliere autonomamente fa troppa fatica e perdita di tempo. Meglio farsi prendere per mano da mamma RAI e godersi una bell’intrigo di Imma Tataranni. Già disponibile su RaiPlay, oltretutto.
Non c’è assolutamente niente di nuovo sotto al sole. La BBC ha da anni on line il suo iPlayer, molto simile al sistema RaiPlay, con la differenza che la maggior parte dei contenuti resta sulla piattaforma per un tempo limitato. Questo anche perché il broadcaster britannico ha da tempo annunciato una piattaforma molto più simile a Netflix, e con cui vuole mettersi in competizione per il mercato UK proprio sfruttando le sue produzioni proprietarie. Il che vuol dire un archivio sterminato. Si chiamerà BritBox, lo stanno sviluppando in collaborazione con ITV e vedrà la luce sicuramente prima della Brexit. Ma per quello ci vuole poco.
Lo stesso vale per RaiPlay
Si parlava di archivio. Basti pensare agli inestimabili tesori che ancora giacciono non digitalizzati nelle Teche Rai, dalle parodie musicali del Quartetto Cetra a Canzonissima, reperti che raccontano la Storia d’Italia attraverso l’arte della televisione. Arte, esatto, perché il suo essere considerato un mezzo d’evasione di massa ha quasi subito fatto dimenticare il processo creativo che c’è dietro il fare televisione. Avere a disposizione una enorme enciclopedia del piccolo schermo è il grimaldello per scardinare la ritrosia d’apprendimento digitale dei pensionati o giù di lì. Comodamente seduti sui loro divani, non avranno più scuse, lamentandosi dei reality e di Barbara D’Urso, da bravi umarell dell’etere. Adesso hanno a disposizione una macchina del tempo che può riportarli in studio con le gemelle Kessler.
RaiPlay ha un mercato su cui nessuna piattaforma può contare
Basti pensare all’ipotesi di un canale Blob o un canale Fuori Orario, trent’anni da poter vedere all’infinito. O da Quark a Superquark a Ulisse, di padre in figlio. Per non parlare dell’archivio dell’informazione, delle trasmissioni di approfondimento, Novantesimo Minuto e La domenica sportiva.
E poi il cinema, quello che la RAI produce da cinquant’anni. Fellini, Olmi, Taviani, Scola, tanto per fare qualche nome. E quello di cui detiene i diritti o di cui li deterrà. Basta fare un rapido giro su RaiPlay per capire che l’offerta è varia di livello eccellente.
Prima o poi arriveranno le produzioni dedicate
Serie, fiction, miniserie, reality, film. Era un passo che avrebbe dovuto fare, prima o poi, e la Rai lo ha fatto, apparentemente nella maniera migliore possibile. I risultati si vedranno, ed essendo un servizio pubblico non potranno restare riservati. E francamente, con la giusta struttura di comunicazione e marketing, ne potremmo vedere delle belle, in un mercato che si sta velocemente sin troppo affollando, ma non sempre delle giuste competenze e professionalità. E anche se a molti potrà sembrare strano, alla Rai non mancano. Basta far lavorare le persone giuste che sono già in organico.