David di Donatello 2019, conto alla rovescia iniziato per il 27 marzo, quando saranno assegnati i premi della prima “edizione del cambiamento”. Ovvero nuova giuria, soprattutto nuova proporzione tra i giurati professionali e quelli di “Cultura e società”, nuove procedure di voto.
Ma la cosa più interessante è la nuova formula nella comunicazione del premio nei confronti del grande pubblico. Un percorso partito l’anno scorso, quando l’Accademia del cinema italiano è tornata a casa RAI, dopo il breve interregno di Sky. L’impressione è che si sia scelta una giusta via di mezzo, presentando un format nazional-popolare, come nella migliore tradizione del servizio pubblico, con un piccolo lifting ereditato dalla più scoppiettante formula Sky.
Se funziona, lo sapremo solo sul medio termine. La notizia importante è che il David deve tornare, nel progetto della presidentessa Piera Detassis, un premio a cui ambire e di cui si parli in Europa, come i BAFTA, i Goya e i César. Giustissimo, perché avere un riconoscimento forte, prestigioso, fa bene a tutto il movimento del cinema italiano. Proprio per questo, è opportuno non accettare le cose come stanno, ma fare anche le pulci a queste prime cinquine, perché se vogliamo che l’industria cresca, è opportuno che lo faccia in maniera organica, senza lasciare nessuno indietro, soprattutto i meritevoli.
Vediamo allora questa “Paranza degli esclusi”, sottolineando una cosa molto importante, così da evitare inutili e oziose polemiche. Le scelte fatte dalla giuria, che ha votato per oltre l’80% degli aventi diritto, sono ottime e frutto di un’annata che ha portato una grande varietà produttiva e una qualità elevata, come dimostrato anche dai molti riconoscimenti che i nostri film hanno raccolto nei festival di tutto il mondo.
David 2019: il convitato di pietra
Paolo Sorrentino è il grande assente dalle cinquine per il miglior film e la migliore regia. E non c’è la scusa del film doppio, perché l’Accademia lo ha messo in lizza, su indicazioni della produzione, come un’opera unica, della durata di 205’. Si può discuterne, a mio parere sono due film ben distinti e separati, con stili completamente diversi, ma ciò che non toglie che Loro e il suo regista non abbiano avuto voti sufficienti. A dispetto poi delle 12 candidature complessive del film. Una sorpresa, senz’altro, più logica se consideriamo che in cinquina troviamo un altro prodotto della Indigo di Nicola Giuliano e Francesca Cima, Euforia. Le preferenze in fase di candidatura sono tre, come succede in qualunque premio esiste una “campagna sotterranea” per la considerazione di questo o quell’altro film. Forse quella attorno al film diretto da Valeria Golino è stata più efficace. Ma queste, naturalmente, sono solo ipotesi non corroborate da fatti.
Un fatto è la mancanza totale, tra tutte le ventuno categorie, di uno dei migliori film italiani dell’anno, Il bene mio di Pippo Mezzapesa. Un’assenza davvero incredibile, per il magnifico Sergio Rubini protagonista, la splendida fotografia di Giorgio Giannoccaro. Un’opera preziosa, peccato non sia stata maggiormente considerata dalla giuria.
David 2019: esordienti allo sbaraglio
Per fortuna, perché di opere prima davvero notevoli ne abbiamo viste tante quest’anno. Tra queste, per esempio, Manuel, un film sorprendente. Peccato per il regista Dario Albertini, che non ha ricevuto voti sufficienti per entrare nella cinquina. Come Silvia Luzi e Luca Bellino, che con il loro bellissimo Il cratere hanno fatto incetta di premi in ogni dove. E dire che spazio ce ne sarebbe stato, perché, per esempio, Alessio Cremonini, candidato per Sulla mia pelle, regista esordiente non è. La sua opera prima è Borders, del 2013, indicata come tale su FilmItalia. E a dirla tutta, anche Luca Facchini, regista di Fabrizio De Andrè – Principe Libero, non è un esordiente, anche se il suo primo film, AAA Agenzia Abbandoni, sembra essere svanito nel nulla, nonostante risulti nella sua scheda su IMDB.
Nel regolamento dei David non sono specificati i parametri per essere considerato regista esordiente, ma immaginiamo siano stati rispettati. Chi certamente non poteva essere candidata era Paola Randi, dato che il suo Tito e gli alieni è un’opera seconda certificata. Però avrebbe davvero meritato una candidatura per la migliore sceneggiatura originale, perché di storie raccontate con la libertà creativa che ha tirato fuori lei, in collaborazione con Massimo Gaudioso e Laura Lamanda, per questo piccolo grande film non è davvero da tutti.
Non è un caso che Tito e gli alieni, Manuel e Fabrizio De Andrè – Principe Libero portino tutti il marchio della BiBi Film di Angelo Barbagallo. Anzi Angelo e Matilde, perché c’è una nuova generazione che si è affiancata, mossa come il padre da una passione e un amore immenso per il cinema. Purtroppo non si possono dare candidature cumulative, ma BiBi Film se lo sarebbe meritato un posto tra i cinque migliori produttori dell’anno.
Si sa, i premi non possono mai fare contenti tutti (tranne i Nastri d’Argento, quelli non fanno torto a nessuno). Gabriele Muccino ha espresso il suo rammarico per le appena tre candidature per il suo A casa tutti bene. E in effetti, il montatore Claudio Di Mauro si sarebbe meritato un riconoscimento per il suo magnifico lavoro, di ritmo ed equilibrio, in un film con quattordici attori di grido.
Ultime considerazioni. La presidentessa Piera Detassis si è detta molto felice di avere due registe nella cinquina. A me sarebbe piaciuto fossero tre, con l’aggiunta di Costanza Quatriglio, dato che il suo Sembra mio figlio è un film straordinario, vero e proprio trionfo all’ultimo Festival di Locarno, purtroppo ignorato dai giurati. Per fortuna per il futuro del cinema italiano, la regista palermitana è diventata del Centro Sperimentale di Cinematografia della sua città natale. E siamo sicuri che avremo presto una cinematografica Sicilian Renaissance.
Infine, mi piace segnalare quella che è forse l’opera più libera e selvaggia dell’anno, Il ragazzo più felice del mondo, film folle e geniale firmato Gipi, che avrebbe meritato assolutamente almeno nella categoria sceneggiatura originale.
Ma come dicevo, i premi sono fatti così: c’è chi vince, e non sempre il migliore, e c’è chi perde. L’importante è che le regole siano uguali per tutti.