Tom Cruise? Brad Pitt? E chi sarebbero? Forse non tutti sanno che, come direbbe La Settimana Enigmistica, l’attore più sexy del mondo è Bill Murray. È stato lui infatti che nella sua carriera ha sedotto sullo schermo le donne più belle del mondo. Da Sigourney Weaver a Andie McDowell, e poi Olivia Williams, Sharon Stone, addirittura Scarlett Johansson. E sapete qual è il suo segreto? Il vecchio Bill sa come far ridere una donna.
A dire il vero, sa come far ridere chiunque, da oltre trent’anni ormai.
E già, perché William James Murray, classe di ferro 1950 (il prossimo 21 settembre le primavere diventeranno perciò cinquantasei) ha iniziato nell’ormai lontano 1973, al fianco di un manipolo di valorosi che decise che era arrivato il momento per l’America di ricominciare a ridere davvero, dopo oltre un decennio caratterizzato dagli omicidi dei due Kennedy e di Martin Luther King, dalla guerra in Vietnam e culminato dallo scandalo Watergate.
I suoi compagni d’avventura erano John Belushi, Dan Aykroyd, Gilda Radner e proprio suo fratello, Brian Doyle Murray, tutti impegnati in National Lampoon Radio Hour, ovvero ciò che nel 1975 sarebbe diventato il Saturday Night Live, il più fortunato spettacolo comico della televisione americana. Bill, a dire il vero, avrebbe provato prima la fortuna in uno show parallelo, Saturday Night Live with Howard Cosell, ma vista la poca audience, questo spin-off chiuse rapidamente e venne assorbito dallo show principale.
Inizia così la carriera di quello che nel corso dei tre decenni successivi sarebbe stato un attore sempre pronto a cambiare pelle, facendo scelte anche sbagliate, oppure imprevedibili, ma che anche per questo non ha mai smesso di cavalcare la cresta dell’onda e né di essere amatissimo dal suo pubblico.
Bill Murray se non ci fosse bisognerebbe inventarlo
Per la sua straordinaria capacità di rendere anche la più piccola sfumatura del sentimento più disparato con impercettibili movimenti degli occhi, con un ghigno appena accennato, con un assestamento della postura. Insomma, è ciò che un attore dovrebbe essere nell’accezione più completa del termine, riuscendoci con l’assoluta naturalezza dettata dalla sensibilità innata e da molti anni di carriera a contatto con attori e registi di grande valore.
Gli anni del SNL furono ovviamente straordinari e proprio in quel periodo Murray conobbe alcune persone che sarebbero state assai importanti nel corso della sua vita professionale, come Harold Ramis e Ivan Reitman, e anche il passaggio dal piccolo schermo fu tutt’altro che traumatico, dato che sia Meatballs – Polpette che Stripes – Un plotone di svitati, furono due grandi successi negli Stati Uniti, lanciandolo subito nell’Olimpo delle star preferite dal botteghino. Ma forse è anche il caso di ricordare che vestì i panni di Hunter S. Thompson in Where the Buffalo Roam, scelta che fa capire molto bene che tipo di identità culturale abbia questo straordinario interprete.
Lo stesso Ghostbusters è un’opera rivoluzionaria
Dal punto di vista promozionale, prima di tutto, perché lanciato in tutto il mondo con una pianificazione marketing innovativa e che è a tutt’oggi un case history. Ma è pur vero che è anche grazie alla sua fantastica caratterizzazione dell’acchiappafantasmi Dottor Peter Venkman che questo film continua ancora oggi a essere un mito.
Eppure, proprio mentre preparava quel blockbuster, Bill Murray lavorava alacremente a un progetto completamente diverso. Si trattava della riduzione cinematografica di The Razor’s Edge, tratto dall’omonimo romanzo di Somerset Maugham e già portato sullo schermo nel 1946 (una delle migliori interpretazioni di Tyron Power, con al suo fianco una sfavillante Gene Tierney). L’attore impone la produzione come clausola contrattuale di Ghostbusters e collabora addirittura alla stesura dello script. Il film è un fiasco, soprattutto a causa della pessima regia di John Byrum, ma l’interpretazione del novello liquidatore di ectoplasmi è notevole, dimostrando così una volta di più che chi sa far ridere può anche cimentarsi in ruoli drammatici.
Bill Murray però, proprio come il Larry Darrell del romanzo di Maugham, decide di prendersi una pausa
E mettersi alla ricerca di una più alta consapevolezza interiore, proprio quando è all’apice del successo. Tra il 1984 e il 1988 lo vediamo solo in un cameo ne La piccola bottega degli orrori, il resto del tempo lo passa studiando la lingua francese.
Lo rivediamo alla fine di questa lunga pausa di riflessione subito da protagonista in un altro adattamento letterario, stavolta di un classico in salsa modernissima, Il canto di Natale di Charles Dickens, trasformato in Scrooged (in italiano ha l’infelice titolo di S.O.S. fantasmi, quindi mettiamoci una pietra sopra…). Al suo fianco troviamo Karen Allen, che aveva già incrociato la banda SNL in Animal House e che finalmente corona il sogno di celluloide di essere la ragazza di Bill (per le spiegazioni vedere box…), e anche ben tre dei suoi fratelli. Scrooged è un hit e precede di poco il secondo episodio di Ghostbusters.
Inizia così la seconda fase della carriera di Bill Murray
Costellata da commedie di grande spessore e da collaborazioni con registi di talento. Uno di questi è Howard Franklin, insieme al quale Murray dividerà la sua prima e unica regia, Quick Change (in italiano: Scappiamo col malloppo… e che dobbiamo fare…) e con cui lavorerà nuovamente in Per amore di Vera.
L’anno d’oro è il 1993, quando lo vediamo nel notevole Lo sbirro, il boss e la bionda (diretto da John McNaughton che lo riavrà sul set anche per Sex Crimes e Speaking of Sex), dove tiene magistralmente testa a un buon Robert De Niro, e poi in quello che sarebbe presto diventato un cult movie, Ricomincio da capo, diretto e scritto dal suo amico Harold Ramis. Il giorno della marmotta (simpatico animaletto che lo morse ben due volte sul set) che si ripete, e si ripete (“It’s Groundhog Day…again…”) è il territorio ideale per un attore invece assolutamente imprevedibile. Bill Murray contribuisce a rendere indimenticabile una sceneggiatura perfetta e tutti i registi iniziano a fare a gara per averlo.
Lui sceglie quelli che gli piacciono di più, da Tim Burton che gli cuce addosso il ruolo di Bunny Breckinridge, elegante transessuale amico di Ed Wood, ai fratelli Farrelly che lo vogliono in quello che è probabilmente il loro miglior film, Kingpin, storia di dropout nel mondo del bowling (si incontreranno ancora nel peggior film della coppia, il terribile fiasco Osmosis Jones). Tutte scelte assolutamente personali, perché il signor Murray non ha un agente, né un ufficio stampa e quando si sposta lo fa da solo, senza una decina di persone al seguito.
Come spesso accade, però, la vita privata non va benissimo
A dispetto del successo professionale. Nel 1994 divorzia dalla prima moglie Mickey Kelly, si sposa nuovamente nel 1997 con Jennifer Butler, dalla quale ha avuto quattro figli, che sommati ai due nati durante il primo matrimonio, fanno di lui un padre decisamente indaffarato.
Ma la quotidianità di Bill Murray è caratterizzata anche dal suo grande amore per lo sport. È infatti praticamente malato per il golf e sull’argomento ha anche scritto un libro semi-autobiografico, Cinderella Story: My Life in Golf, mentre insieme al SNL comedian Jimmy Fallon e altri è proprietario di ben sette squadre della Minor League di baseball, franchigie disseminate un po’ per tutto il paese, oltre a essere un fan sfegatato dei Chicago Cubs e di Michael Jordan, di cui è anche grande amico. Non a caso ha un ruolo in Space Jam ed è apparso in vari documentari sulla vita e la carriera di His Airness.
1998, fase 3
Coincide con l’incontro con un giovane regista che ha appena un film super indipendente all’attivo. La sceneggiatura di Rushmore è però una delle più belle circolate a Hollywood da decenni a questa parte e Murray capisce subito che non può farsela scappare. Hermann Blume è uno dei personaggi più riusciti del cinema americano degli ultimi anni e lo consacra come attore a tutto tondo e con una grande predilezione per il cinema lontano da Hollywood e dai blockbusters (si concede solo il ruolo di Bosley nel primo Charlie’s Angels). È Polonio nell’Hamlet moderno esistenzialista di Michael Almereyda, ma soprattutto torna ben due volte sul set con Anderson, prima per vestire i panni dell’antropologo Raleigh St.Claire ne I Tenenbaum, poi come oceanografo in Life Aquatic, per il quale ha passato molti mesi a Roma, durante i quali si poteva facilmente incontrare al bancone di un noto locale del centro sorseggiare dell’ottimo scotch invecchiato.
Proprio come accade in quel gioiello che Sofia Coppola ha scritto pensando a lui, Lost in translation, in cui Bill Murray è Bob Harris, un attore che si perde tra le mille luci di Tokio insieme alla giovane moglie di un fotografo, anche lei americana. Tra karaoke, sushi e molto altro, nasce una grande amicizia, o forse qualcosa di più. Il film viene acclamato come uno dei più belli del 2003. Murray vince un Golden Globe e viene candidato all’Oscar come miglior attore protagonista. Ormai è un’icona del cinema indie americano e l’incontro con Jim Jarmusch è una naturale conseguenza. Prima l’episodio Delirium di Coffe and Cigarettes, poi il ruolo dell’impenitente seduttore in Broken Flowers, un’altra interpretazione memorabile.
Il futuro è adesso, con The Lost City, diretto dall’attore Andy Garcia, e la seconda avventura del gattone Garfield, ma soprattutto con una lunga e già annunciata pausa dal set, conseguenza delle stancanti lavorazioni di Life Acquatic e Broken Flowers del desiderio crescente di dedicarsi alla sua numerosa prole.
Magari questa volta gli verrà anche voglia di imparare l’italiano.