Us, o Noi. Il titolo italiano è fuorviante per il nuovo horror di Jason Peele, il regista di Get Out, con cui ha vinto un meritato Oscar per la migliore sceneggiatura originale.
Us, ovvero Noi
Soprattutto, United States. È un gioco, quello di Peele, non a caso il film inizia in un luna park, in quel 1986 che iniziò tragicamente per l’America, con il disastro dello Shuttle Challenger. La navicella esplose subito dopo il lancio, uccidendo i sette componenti dell’equipaggio e dando un duro colpo al programma spaziale americano, oltre che ai sogni di un futuro diverso. Quello che veniva prospettato da Hands Across America, la catena umana di oltre sei milioni e mezzo di persone, e conseguente raccolta fondi, ideate per combattere la povertà e aiutare i senzatetto. Tutto questo accadeva nell’America Reaganiana, che sarebbe dopo poco diventata quella di Bush padre. Un regno repubblicano di 12 anni da cui il paese non si è mai ripreso, gli anni che hanno realmente ucciso il Sogno Americano.
La trama di Us è semplice
Una famiglia della borghesia nera, padre, madre, figlia maggiore e figlio minore, va in vacanza nella loro casa al mare. In quegli stessi luoghi, nel 1986, la capo famiglia Adelaide, allora bambina, si era allontanata dai genitori perdendosi in una casa degli specchi. Evento di cui ha un traumatico ricordo. Che si materializza quando a casa si presentano… loro. Nella loro forma peggiore. O forse no.
Raccontare la trama di Us è perfettamente inutile. Come accade per i film che vogliono raccontare tutt’altro rispetto a quello che accade sullo schermo, è accessoria. Peele lo aveva già fatto in Get Out, utilizzando magistralmente gli strumenti del genere e senza inventarsi niente di particolare. L’horror è un racconto sociale, il mostro è l’incarnazione della paura del diverso, quasi sempre ucciso da una massa ignorante aizzata dal potere costituito. Ci possono essere variazioni, ma in ogni caso parliamo di un racconto della società contemporanea declinato attraverso l’estremizzazione dell’immagine e della narrazione.
Get Out e Us devono molto al cinema di John Carpenter.
Come in Halloween, Il principe del Male ed Essi vivono, il terrore si annida prima di tutto nelle istituzioni fondanti, famiglia, chiesa e stato. Gli eroi lo sono per caso e loro malgrado, salvo scoprire un coraggio dettato principalmente dalla rabbia repressa nei confronti dell’ordine costituito. A tutto questo basta aggiungere la giusto dose di umorismo nero e il gioco è fatto. Di nero Jordan Peele ci mette altro (e se qualcuno si offende per il gioco di parole si faccia curare da uno bravo), ponendosi con astuzia al tempo stesso come Spike Lee dell’horror, con la giusta punta di razzismo nei confronti del bianco invidioso e castrato, ma anche castigatore dei fratelli neri che hanno dimenticato cosa vuol dire.
Più marketing che altro
Il messaggio del cinema di Peele, e di Us soprattutto, è tutto politico e neanche così raffinato. Le metafore che usa sono volutamente semplici, per poter essere facilmente comprese da uno spettatore con un livello culturale medio-basso, ovvero la stragrande maggioranza della popolazione americana. Il cinema di Peele è un cinema d’elite a uso e consumo del volgo, da cui accetta volentieri i soldi, dando loro in cambio semplici strumenti di ribellione. Esagera, addirittura, evidentemente considerando il suo pubblico ai limiti della stupidità, ma spiegando loro che non ne hanno colpa alcuna. Loro sono stati lasciati indietro, tanti anni fa, e nessuno ha pianificato dei programmi di recupero. Quindi, se volete salvarvi, dovete farlo da soli. Voi. Loro. Noi no.
Us è un film notevole, le cui evidenti incongruenze narrative sono ininfluenti, se non addirittura funzionali per spiegare il paradosso di una grande nazione che ha deciso tanto tempo fa di avere dei nobili e degli schiavi, democraticamente senza distinzione di colore, credo e orientamento politico. Ma la Storia ci dice che prima o poi questi miserabili faranno cadere delle teste.