“Vivi a Roma? La adoro, ci andavo spesso fino a qualche anno fa”. C’è un’ombra di malinconia nel sorriso con cui Olga Kurylenko accompagna il suo gentile modo di mettermi a mio agio quando mi siedo di fronte a lei. Roma, ma anche Milano, Parigi, Londra, quando ancora calcava le passerelle per le maison più prestigiose, prima di essere illuminata da riflettori diversi.
Nata a Berdjansk, in Ucraina, Olga si trasferisce a Parigi nel 1995 ad appena sedici anni, tre anni dopo essere stata reclutata da una delle più importanti agenzie di modelle nel mondo. Nei dieci anni successivi è un susseguirsi di sfilate, copertine, servizi fotografici, campagne pubblicitarie, insomma la normalissima folle vita di una top model. Finché non arriva il cinema e la decisione di intraprendere un’altra carriera ricca di soddisfazioni, tra cui far parte del ristretto club delle Bond Girl.
In qualche modo è proprio l’agente 007 che ce la fa incontrare, in una location degna dell’eroe di Ian Fleming. Siamo infatti sulla terrazza della Villa Cartier a Deauville, la spiaggia della Normandia a pochi metri, il vento che porta il profumo del mare e un sole nordico settembrino, caldo e gentile, che illumina la pelle di questa donna dalla bellezza fuori dal comune.
La sera prima l’abbiamo ammirata sul tappeto rosso del Festival du Cinema Americaine sfoggiare un magnifico Dior black & white con fantasie floreali, in occasione della presentazione del film The November Man, prodotto e interpretato da Pierce Brosnan, che orfano della sua licenza di uccidere ha pensato di crearsi una serie tutta sua e di avere al fianco una donna che potesse capirlo.
Ma Olga non ama pensare al passato, lei preferisce guardare avanti, To the Wonder, come le ha insegnato Terrence Malick, che l’ha scelta come musa per il suo film sull’amore.
Solo una richiesta ci viene fatta prima di cominciare la nostra conversazione: niente domande sulla situazione in Ucraina. Olga non vive lì da vent’anni ed è ormai una cittadina francese da quasi dieci.
Miss Kurylenko, le confesso una cosa: quando ho visto To the Wonder ho scritto che Malick aveva fatto di lei “un’eterea fata ferita”.
È una definizione molto bella, mi ci ritrovo completamente. L’esperienza in quel film è qualcosa di indimenticabile.
Decisamente diversa rispetto a The November Man.
Questo è un thriller con tanta azione, un ruolo comunque interessante perché il mio personaggio non è un agente segreto dalle particolari capacità, come era in Quantum of Solace, ma una ragazza normale, che lavora in un ufficio, che si ritrova in una situazione eccezionale. Non piacerebbe a tutte le donne vivere un’avventura con un uomo affascinante come Pierce, in fondo?
Cosa le piace di più dei film d’azione?
Mi divertono, anche se la cosa più importante è che divertano lo spettatore. Mi sento come una bambina alle giostre. Sul set ti insegnano a combattere, a sopravvivere alle esplosioni, a usare un sacco di gadget divertenti, a maneggiare le armi. Quando ho recitato in Centurion ho dovuto imparare ad andare a cavallo, qualcosa che non potevo permettermi durante la mia infanzia, è stato un regalo meraviglioso.
Il suo primo successo, Hitman, era tratto da un videogioco, ma la sua carriera ha preso strade diverse in seguito.
Mi piace cambiare, fa parte della mia natura, amo la diversità, anche se ho dovuto spesso forzarmi a dire di no per non restare imprigionata in un personaggio. Dopo Hitman mi hanno proposto molti film dello stesso tipo, ma non era quello che stavo cercando. Certo, quando è arrivata la proposta di essere una Bond Girl non potevo rifiutare, ma amo il cinema indipendente, le storie drammatiche e adoro le commedie, peccato non me ne abbiano mai proposta una.
Mi sembra assurdo, sono convinto che lei sia una ragazza molto divertente.
Me lo dicono tutti i miei amici, a cui piace anche tanto prendermi in giro perché mi trovano buffa. Ma non c’è stato niente da fare, non mi è mai arrivato il copione giusto. Però non mollo, ci riuscirò prima o poi.
Potrebbe prodursela da sola, in fondo lo ha già fatto.
Stai parlando de La Terre Outragée, immagino. Era un piccolo film, l’ho co-prodotto perché era una storia ucraina, parlava di Chernobyl e mi sembrava giusto farlo. Ma non so se lo farò ancora.
Intanto Russell Crowe l’ha voluta per il suo primo film da regista, The Water Diviner.
Sono stata sul set con lui nel dicembre del 2013, è passato un sacco di tempo. È stato fantastico, sapevo che è un grande professionista, ma non immaginavo sarebbe stato così perfetto. Abbiamo lavorato con grande calma, come è Russell in tutto quello che fa. Finivamo di girare ogni giorno in orario, una cosa che non succede mai, e nonostante fosse il suo primo film non l’ho mai visto avere un’incertezza, sapeva sempre cosa fare.
Sì, è un tipo in gamba. Mi parli del suo personaggio, so che è stato molto impegnativo.
L’ho adorato anche per questo. Vado matta per i film in costume e la storia è ambientata durante la prima guerra mondiale. Interpreto una donna turca e la mia parte sarà quasi interamente sottotitolata, le uniche parti in inglese sono quelle in cui parlo con Russell.
Una gran bella sfida.
Sì, tutto merito di un eccellente insegnante e della Stele di Rosetta! Ma ovviamente non sono assolutamente in grado di sostenere una conversazione, ho fatto quanto necessario per poter interpretare il ruolo. È una lingua molto complicata, ma ho ancora tutti i libri, se mi ci impegno potrei anche impararla.
Non ho alcun dubbio in merito. A proposito di tornare indietro nel tempo: le manca mai la sua vita come modella?
Assolutamente no. Ho fatto quello che dovevo e va bene così.
Una risposta molto decisa…
Ho fatto la modella per dieci anni, in ogni modo. Ho sfilato sulle passerelle di tutto il mondo, ho posato per non so quanti cataloghi, ho fatto centinaia di servizi fotografici, ma a un certo punto ero pronta per andare avanti con qualcosa di nuovo.
Eppure continua a essere testimonial per tanti marchi internazionali.
Certo, ma lo fanno tutte le attrici, è normale, ormai è tutto mischiato, ma è anche giusto che sia così, è una questione di soldi e di immagine. Ma basta questo, grazie. E intendiamoci, non rinnego niente, anzi, è un lavoro che ti ricompensa moltissimo, ti offre l’opportunità di guadagnare tanto, di viaggiare, di conoscere il mondo. Ma è anche molto duro, e non solo perché è stancante.
E per cos’altro, se posso permettermi?
È un lavoro che ti fa sentire molto sola, almeno era così per me. Lo so che non mi credi, ma posso assicurartelo.
No, al contrario, le credo, immagino abbia molte storie da raccontare.
Sono tutte scritte nei diari che ho tenuto durante quegli anni, li conservo ancora e potrei farne un libro prima o poi. Il problema è che non riesco neanche ad aprirli, rileggerli mi farebbe stare malissimo. In quelle pagine è racchiusa la mia solitudine di allora, la maggior parte del mio tempo lo passavo così, e le riflessioni che vi riversavo erano molto cupe. No, ripensandoci è meglio che resti tutto là dentro. Ora ho un’altra vita e non sono più sola.