Approfitto della morte del grande Roger Ebert per dire un paio di cose. Uno come lui in Italia non lo avremo mai, non perché non ci siano critici bravi, ma perché questo è il paese dei commissari tecnici, dei presidenti del consiglio e dei critici cinematografici. Se vuoi incontrarli li trovi tutti al bar, sotto casa, la tua o quella di qualcun altro.
“Ma dai, fai il critico? Ieri sono andato a vedere (nel 99% dei casi un film di merda). A me è piaciuto.”
“A me no” ed elenchi le tue sacrosante e competenti ragioni.
“Ah… Vabbè, a me è piaciuto… Ma dove scrivi?”
E se la risposta non soddisfa allora il critico vero è lui.
Perché, diciamolo, il nostro è un mestiere del cazzo da fare in Italia, per molte ragioni, che vado ad elencare.
- Oltre il 50% degli italiani hanno un livello culturale imbarazzante, e non parlo di titoli di studio, ma di cultura generale. Compensano però con un’arroganza eccezionale che fa dell’italiano medio esperto in tutto, dalla neurochirurgia all’ingegneria aerospaziale. Spesso e volentieri sono anche io così, vista la mia grande passione per l’idroponica, nata dopo avere visto “Parenti, amici e tanti guai”.
- La critica in Italia è una casta, con enclavi ben precisi e riconoscibili a seconda delle zone geografiche, giornalistiche e festivaliere.
- Il livello medio della critica in Italia è indecente, sia per la reale comprensione del prodotto cinematografico che per il livello di scrittura.
- Internet ha generato mostri. Ogni giorno nasce un blog di cinema, composto da competenti esperti a cui se nomini Max Ophuls ti chiedono se aveva recitato in “A Rovigo la Mala rompe il culo ai passeri”.
- Di bravi ce ne sono, e bravi davvero, e di solito non fanno parte di lobby, gruppi di potere e andate tranquilli che non hanno un posto fisso, tranne rarissime eccezioni. In ogni caso, comunque, sono pochi e per fortuna ho l’onore di frequentarli e lavorare con loro.
Roger Ebert era un educatore e uno scrittore
Nel senso più nobile del termine, e come lo era lui lo sono quei critici e giornalisti che fanno questo lavoro per fare cultura. Lo ripeto: cultura. Perché il cinema è un’arte, esistono i capolavori, i prodotti artistici interessanti e degni di rispetto e le croste, e ci sono gli strumenti per classificarli e riconoscerli.
Bisogna trasmettere questa responsabilità, perché l’analisi culturale è una responsabilità, nella forma migliore possibile, è una nostra responsabilità, ripeto e sottolineo, educare il pubblico e, cosa ancora più importante, far vivere agli spettatori attraverso le nostre parole e le nostre analisi un prolungamento della visione che renda l’esperienza cinematografica ancora più coinvolgente, emozionante e consapevole.
Non è facile, non è banale, non ci si improvvisa.
Detto ciò, Mr. Roger Ebert, ci vediamo al cinema, che è dove spero di andare quando sarò morto, e vedere film per tutta l’eternità insieme a lei. E non con quella pippa di Leonard Maltin.