Tra le tante cose di cui la cultura è orfana durante la pandemia di Covid-19, i festival sono sicuramente un tassello importante. Eventi in cui la comunione di spazi, per quanto riguarda i cinema quasi sempre chiusi, ma è importante ricordare l’impatto economico e sociale dei festival musicali, non è evitabile. Impatto sociale e aggregativo che ha portato all’annullamento di tutta la stagione primaverile e buona parte di quella estiva.
Si è discusso molto del lungo tergiversare del Festival di Cannes, che comunque ancora non accetta l’idea di essere cancellato dal calendario 2020. Una situazione sgradevole da parte del direttivo del festival, e molto poco delicata visto quello che si sta vivendo in gran parte del mondo. Eppure, Thierry Fremaux, delegato generale del festival, va capito. Indipendentemente dal prestigio della manifestazione, sono in ballo posti di lavoro e molti soldi, che quando si parla di eventi culturali, non sono facili da recuperare se si salta un’edizione.
Analizzare i festival come un’industria è fondamentale, per capire l’impatto che hanno solitamente sul territorio e sul PIL. Chi in questo comparto ci lavora da anni non può che trovare queste considerazioni anche banali. Ma è pur vero che, almeno per quanto riguarda i festival cinematografici, ci si parla molto addosso a vicenda tra “professionisti del settore”, altra definizione che non si addice a molti presunti esperti del campo.
Questa serie di articoli si propone diversi scopi, che vado a elencare.
Prima di tutto, far capire a chi vede i festival come baracconi dove si buttano soldi per far divertire pochi che non è così. Probabilmente questa categoria non leggerà mai questi scritti, ma se dovesse accadere, anche fosse solo uno, ci sarebbe da rallegrarsi.
Poi, chi invece ama frequentare, da spettatore, questi eventi, ma che non sa esattamente quanto sia complessa la macchina che c’è dietro. Aspetto molto importante, perché è quello di maggior supporto. Senza pubblico non si fa niente. Un pubblico consapevole è tutto, soprattutto se gli vengono forniti i giusti strumenti per criticare quando necessario.
Infine, chi i festival li fa, lavorandoci in maniera diversa, e chi li frequenta per lavoro, come giornalista o operatore del settore produttivo e distributivo. Sono in effetti tre livelli diversi. I primi, chi più chi meno, a seconda del settore di competenza, conoscono la macchina, e quindi possono essere in accordo o disaccordo su quello che scriverò ed essere costruttivi per tutti.
I colleghi critici e giornalisti, che fanno la fortuna o meno della kermesse a seconda di quanto e come scrivono, nella gran parte dei casi, e non me ne vogliano, sono quelli che conoscono meno la macchina festival, a meno che non ci lavorino, come a volte accade. Non è una critica, il loro mestiere è guardare film, intervistare attori e registi, trasmettere l’atmosfera dell’evento. Non sono tenuti a sapere molte cose, su cui alcuni, spesso indebitamente, dissertano con prosopopea.
Gli ultimi, che di mestiere devono portare i loro film ai festival, li conoscono bene, ma in diversa guisa rispetto ai primi, con cui però devono condividere molte questioni pratiche, dalla proiezione, all’ospitalità, alla comunicazione, con tutti gli orpelli che ne conseguono.
Nel corso degli anni, mi sono trovato in tutti e tre i panni. Ho lavorato per molti festival, ricoprendo ruoli diversi. Li frequento come critico e commentatore dal 1999. Ho accompagnato alcuni film ai festival a cui venivano selezionati, in veste di ufficio stampa e, se c’era bisogno, anche qualcosa in più.
Per questo, quando ho letto l’intervista al nuovo presidente de La Biennale, Roberto Cicutto, non ho trovato affatto campate in aria le sue parole, così come quelle successive del direttore artistico Alberto Barbera. La 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia potrebbe davvero andare in scena. Sarebbe un segnale importante per l’industria culturale, non solo italiana, e un laboratorio per il futuro, un primo tentativo per poter poi arrivare a una riforma generale del comparto festivaliero, che vista l’attuale situazione appare inevitabile.
Venezia 2020: torna a settembre
Il 2 settembre, per l’esattezza. Quattro mesi dopo la prevista chiusura del lockdown. Secondo l’Osservatorio Nazionale della Salute, il Veneto dovrebbe arrivare a contagi zero il 21 maggio. Questo dato, per essere precisi, è una previsione ipotetica che tiene conto anche di un eventuale allungamento delle restrizioni, quindi assolutamente indicativo e non attendibile. Diciamo comunque che questo obiettivo potrebbe essere raggiunto il 15 giugno, data arbitraria appena decisa, settantacinque giorni prima dell’apertura della Mostra.
La Mostra del Cinema si svolge al Lido, un piccolo isolotto, condizione che di fatto mette il festival in una situazione circoscritta. Non isolata, ma comunque in maggiore sicurezza rispetto ad altre manifestazioni. La probabile non riapertura delle strutture balneari, se non per i residenti del Lido, dovrebbe garantire un’estate in sicurezza aumentata. Insomma, il 2 settembre il Lido di Venezia potrebbe essere un posto vagamente sicuro.
Open Range
Palazzo del Cinema, PalaDarsena, Casinò, sono queste le tre strutture principali della Mostra del Cinema. Hanno un vantaggio non da poco: moltissimo spazio esterno. Di fronte al palazzo e al Casinò è possibile organizzare comodamente dei percorsi lungo i quali far defluire gli spettatori rispettando la distanza di sicurezza. Parliamo di circa un quarto dell’usuale pubblico della mostra. Vista la ridotta capienza delle sale, alla quale non sarà possibile ovviare per quell’epoca, si tratta di un’impresa tutt’altro che impossibile.
Anche il PalaDarsena ha delle ampie vie di fuga esterne, insomma, dei circa 3700 posti disponibili tra le diverse sale, ne potrebbero restare un po’ più di mille per ospitare stampa e pubblico.
Si potrebbe sacrificare il PalaBiennale, così da evitare i lavori per il suo allestimento, che dovrebbero coinvolgere molti operai, sostituendolo con una struttura aperta dove poter dirottare magari Venezia Classics, un po’ come succede per il Cinema sur la Plage a Cannes.
Guardiamo il programma di Venezia 2020
Le molto probabili procedure di igienizzazione della sala dopo ogni proiezione, nonostante i tempi più rapidi di riempimento e svuotamento sala, toglieranno almeno un paio di proiezioni al giorno per schermo a Venezia 2020. Il che vuol dire meno repliche o meno film in programma. O entrambe le cose, se come molto probabile si dovesse trattare di un festival ibrido, in cui la parte on line potrebbe permettere il recupero dei film con proiezioni in una sala virtuale.
Molto importante, per limitare al massimo i contatti, programmare le proiezioni il più possibile sfalsate, così da evitare troppe code, seppur diradate, in contemporanea, e uscite da più sale allo stesso orario.
Chi saranno gli eletti di Venezia 2020?
Ovvero, chi potrà fisicamente partecipare al festival? La scrematura la dovrebbe fare l’età, prima di tutto. Dai 18 ai 55 anni, al massimo, potrebbe essere un buon range, a cui andrebbe unito anche un certificato di sana e robusta costituzione, che escluda patologie che possano rivelarsi pericolose in caso di contagio. Sembra assurdo, è vero, ma sono queste le cose di cui si dovrà tenere conto e non si potranno prendere sottogamba.
Tutto questo è relativamente semplice per gli accreditati, dato che il festival potrebbe chiedere alla testata o alla produzione di assumersi la responsabilità del professionista che viene inviato a seguire la Mostra. Altro problema: da dove arrivano queste persone? A settembre, presumibilmente non dall’estero, quindi avremo solo selezionata stampa italiana, per un numero massimo che dovrebbe essere pari al riempimento, in regime di distanza di sicurezza, del PalaDarsena.
Per quanto riguarda il pubblico, la situazione è più complessa, ma anche in questo caso l’acquisto del biglietto dovrebbe coincidere con un’assunzione di responsabilità da parte dello spettatore. Questo anche per permettere al festival di superare uno scoglio ipoteticamente difficile da evitare: la copertura assicurativa, che al momento nessuna compagnia garantisce.
Gli ospiti di Venezia 2020
Saranno presumibilmente tutti italiani, o al massimo europei, se possono arrivare al Lido con mezzi sicuri e non condivisi. Da escludere i red carpet, o quantomeno da ripensare in forma privata, con un photo/video call da poter fornire alla stampa, con camere manovrate in remoto e un numero limitato di fotografi. Conferenze stampa solo on line, con prenotazione in chat delle domande da parte dei giornalisti collegati. Per la stampa presente al festival non sono da escludere delle interviste singole, ma sempre con mascherina e a distanza di sicurezza.
Il PIL del Lido
Ecco, qui arrivano le dolenti note. Perché quanto provocatoriamente scritto sopra, non solo esclude moltissimi professionisti, ma certamente comporterebbe un’edizione molto povera per i commercianti e i ristoratori, oltre che per albergatori e agenzie immobiliari. Ma c’è anche da dire che i residenti del Lido non sono mai stati dei particolari sostenitori del festival, anzi. Chi lo frequenta da molti anni sa bene quale sia il vero sentimento nei confronti dei dieci e più giorni di gioioso caos cinefilo. Quindi forse un anno di austerity potrebbe aiutare a riconsiderare alcune priorità anche da parte loro.
Venezia 2020 on line
La cosa più logica e auspicabile sarebbe quella di appoggiarsi a un player esistente, con una piattaforma già strutturata e una copertura mondiale. I nomi sono quelli che conosciamo tutti: Netflix, Amazon, ma anche Apple non è da escludere a priori. Tra i tre, il primo è quello che certamente darebbe più garanzie per quanto riguarda l’affidabilità tecnica e la velocità nel poter organizzare un oggetto mediamente complesso, soprattutto in termini di accesso. Le modalità di visione devono essere naturalmente limitate, non si può fare un festival in SVOD. Il programma dovrebbe tenere conto esattamente dei posti in sala e del numero di accreditati stampa, industry e culturali, oltre che dei biglietti virtuali venduti. Replicare perfettamente un festival on line, per non far perdere quell’aura di eccezionalità che un festival deve comunque mantenere.
Il problema più grosso, naturalmente, sta nella pirateria. Si dovrà trovare una soluzione, ma è possibile che non tutti i film saranno disponibili on line, e comunque non è da escludere che chi ne fruisce in remoto debba sopportare uno o più watermark, anche personalizzati, per il tracciamento della copia digitale.
E a proposito di tracciamento, altra cosa da non escludere, per chi invece sarà presente al festival, il caloroso invito a scaricare sul proprio smartphone un’app dedicata per il tracciamento degli spostamenti e dei parametri corporei. Una piccola concessione della propria privacy per la messa in sicurezza di tutti.
Venezia 2020 così… ma ne vale la pena?
Francamente sì. Per molte ragioni. La prima, la più importante, è quella di dare un segnale, per far passare la paura di andare al cinema. Sarebbe un gesto coraggioso da parte del festival più importante d’Italia, uno dei due più importanti del mondo, per aiutare tutta l’industria del cinema, nelle sue forme contemporanee più disparate. In un modo o nell’altro, bisognerà ripartire.
Se sarà possibile dal 2 al 12 settembre, al Lido di Venezia e nel resto del mondo, bisognerà gettare il cuore oltre l’ostacolo e provarci.