Ben Affleck è probabilmente il personaggio più bistrattato del cinema americano degli ultimi vent’anni. Ne ha passate di tutti i colori, spesso e volentieri per colpe tutte sue, figuriamoci. Ma c’è anche da dire che raramente gliene hanno fatta passare una liscia. Ma si sa, Hollywood offre sempre anche più di un’occasione di riscatto. Tornare a vincere, più che il titolo di un film, sembra l’incipit di un manifesto programmatico.
The Way Back, il titolo originale, calza molto meglio con la storia di Jack Cunningham, ex gloria del basket liceale a cui la vita ha dato pochissimo e tolto quasi tutto. Gli resta, dopo avere alienato tutti gli affetti, la bottiglia, presenza meccanica e ossessiva in ogni minuto della giornata. Finché non riceve un’inaspettata chiamata, dal reverendo e direttore della sua vecchia scuola. La squadra che lui stesso da ragazzo aveva guidato, a suon di canestri, alla vittoria del campionato, ha bisogno di un nuovo allenatore. Jack non crede più in niente, ma sa che quella è l’ultima occasione per aggrapparsi alla vita.
Tornare a vincere, un classico di genere
Il cinema sportivo è una tradizione squisitamente americana. Sin dagli anni Quaranta, tutte le grandi stelle del firmamento hollywoodiano si sono cimentate in questo genere. Gary Cooper fu il leggendario Lou Gehrig in L’idolo delle folle, James Stewart lo seguì sul diamante da baseball in The Stratton Story. In tempi più recenti è stato il football ha ispirare maggiormente, storie spesso incentrate sull’integrazione e sul riscatto personale. Il sapore della vittoria, Friday Night Lights, We are Marshall sono tutti film che hanno permesso a ottimi interpreti di mettere nel curriculum un emozionante discorso motivazionale, per cui probabilmente ricevono le royalties a Natale grazie alle conferenze aziendali.
Al Pacino, Denzel Washington, Billy Bob Thornton, Matthew McCounaughey, la lista sarebbe lunga, e comunque nessuno ancora ha eguagliato il Kurt Russell di Miracle, storia vera della nazionale di hockey americana alle olimpiadi invernali del 1980.
Film quest’ultimo diretto proprio dal regista di Tornare a Vincere
Gavin O’Connor, che con il cinema sportivo ha un rapporto molto stretto. Suo infatti è anche Warrior, melò familiare ambientato nel mondo del MMA (Mixed Martial Arts), con protagonisti Tom Hardy e Joel Edgerton. Una fusione di generi che O’Connor prova anche con questo veicolo cucito su misura per Ben Affleck. Purtroppo l’operazione riesce questa volta meno bene, soprattutto a causa di una scrittura molto convenzionale, basata sull’accumulo di eventi, e disgrazie, piuttosto che sull’effettivo percorso di rinascita personale del protagonista.
Scopriamo molte cose del passato, tra il burrascoso e il tragico, del campione che non fu, anche troppe. Poco e niente invece ci viene detto del processo che lo porterà a riveder le stelle, naturalmente dopo le necessarie montagne russe emotive e le scontate battute d’arresto.
Il basket è stato protagonista di belle storie
Colpo vincente, di David Anspaugh, con Gene Hackman e Dennis Hopper, resta un caposaldo. Ma anche Basta vincere, inconsueta incursione di William Friedkin che tira fuori dal cilindro Il braccio violento della pallacanestro. E poi il magnifico He Got Game di Spike Lee, in cui un padre galeotto, ex talento cristallino, e un figlio in odore di NBA si confrontano sul playground della vita.
Tornare a vincere non arriva neanche lontanamente a queste vette
Ma assolve la sua funzione primaria. Ben Affleck è magnifico, come d’altronde, ilarità generale e ingiustificata a parte, è stato più volte nella sua carriera. A quarantotto anni si porta negli scatoloni del trasloco due Oscar, entrambi meritatissimi, per la sceneggiatura di Will Hunting e come miglior film dell’anno per Argo. E ne avrebbe probabilmente meritati anche un paio in più. Uno come attore per Gone Girl, o magari per Hollywoodland, film quasi premonitore che gli portò la Coppa Volpi a Venezia. E un altro come regista, che prima o poi arriverà, dato che Gone Baby Gone, The Town e Argo hanno proprio nella regia, magnificamente classica, il loro punto di forza.
Ben Affleck si cala totalmente nella parte
Con il dolore evidente di chi ha visto il fondo della bottiglia troppe volte, arrivando altrettante quasi al tappo, ma scivolando ogni volta. Si spoglia, emotivamente e fisicamente, esponendosi una volta di più al pubblico ludibrio, con una dignità e una forza che ha dimostrato tante volte, venendo altrettante deriso.
La vita è fatta di scelte sbagliate con cui si deve convivere. Quella di Affleck è stata tradire la bellissima famiglia che aveva costruito con la moglie Jennifer Garner. Prima, avere una relazione con Jennifer Lopez e, da accanito collezionista di fumetti, indossare le cappe di Daredevil quando la Marvel non era Disney, e di un già canuto Batman, in maniera eccellente oltretutto, nell’assai confuso universo DC della Warner.
Va bene, Gigli è imperdonabile, ma il dubbio che le sventure di Ben Affleck siano una tempesta perfetta di sue terribili mancanze e dell”inquietante umana pochezza di un pubblico frustrato serpeggia inevitabilmente.
E fa anche abbastanza paura.