La sera del 2001 in cui Ghosts of Mars fu presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia pioveva che Dio la mandava, faceva freddo, e non poteva esserci atmosfera migliore per rinchiudersi nell’allora Palagalileo insieme ad altre duemila persone per godersi un western spaziale firmato John Carpenter.
Nove anni dopo, in una Torino imbiancata dalla neve piemontese, il Torino Film Festival ha presentato al suo pubblico The Ward, nuovo film dell’uomo che ha inventato Snake Plissken e che la BIM distribuisce in Italia a partire dal 1° aprile. Finalmente, verrebbe da dire, perché di John Carpenter si sentiva la mancanza da tanto, troppo tempo, com’è giusto che sia per un autore della sua importanza, un cineasta innamorato della classicità usata nella sua carriera per creare un percorso artistico e politico di fondamentale importanza.
From East to West
Nato nel 1948 a Carthage, nello stato di New York, il giovane Carpenter cresce in Kentucky, a Bowling Green, dove il padre è stato posto a capo del dipartimento di musicologia della Western Kentucky University, che frequenterà anche John prima di trasferirsi in California per entrare alla University of Southern California per studiare cinema. L’adolescenza a Bowling Green è un periodo molto importante per il regista, che in quell’ambiente ostile e malsano comincia a maturare la sua personale visione del concetto stesso di Male, sia per le persone che lo circondano, razziste e violente, che per delle situazioni familiari di cui non ha mai voluto parlare, ma che per sua stessa ammissione hanno segnato in maniera indelebile la sua vita.
L’incontro con il cinema è precoce, grazie alla grande passione della madre per il grande schermo.
“Mia madre mi ha dato la fantasia, mio padre la musica”
Non a caso Carpenter è anche quasi sempre autore delle colonne sonore dei suoi film. I suoi primi cortometraggi John sono datati 1962, opere di un quattordicenne che già è in grado di operare scelte di genere precise, prediligendo il fantastico, suo grande amore insieme al western. In particolare quello di Howard Hawks, autore che è parte integrante della poetica di Carpenter, così come fondamentale è l’incontro letterario con le mostruose creazioni e gli universi paralleli di H.P. Lovecraft.
Tutti questi elementi potevano portare in una sola direzione, verso Ovest, per arrivare nella più prestigiosa università del paese, in un periodo in cui tra gli studenti c’erano quelli che sarebbero poi diventati i più importanti cineasti dei decenni successivi.
Dark Halloween
John Carpenter entra alla USC nel 1968, in piena contestazione, ma la politica in quel periodo lo interessa poco, preferisce concentrarsi sul cinema. All’università ha anche l’occasione di conoscere tutti i più grandi cineasti americani invitati a tenere lezioni. Tra questi Howard Hawks, ma anche Orson Welles, John Ford, King Vidor e molti altri. Dalla USC esce con un cortometraggio che diventerà poi il suo primo film, Dark Star, del 1974, un omaggio a 2001: Odissea nello spazio, ma con toni e atmosfere grottesche e psichedeliche.
John Carpenter è un regista diverso da Spielberg, Lucas, De Palma e Coppola, più influenzati dalla lezione che arriva dalle correnti artistiche europee. A questo gruppo di autori, che avrebbe poi dominato il cinema americano negli anni a seguire, vincendo Oscar e trionfando al botteghino, si contrapponeva una pattuglia più naïf. Ne facevano parte John Landis, Joe Dante, Jonathan Demme e altri. Carpenter è più vicino a questi ultimi, quantomeno per carattere, cinematograficamente è molto più classico, come dimostra in Distretto 13: le brigate della morte, del 1976, un remake non dichiarato di Un dollaro d’onore di Hawks, una struttura che avrebbe usato venticinque anni dopo anche per Ghosts of Mars.
Distretto 13 è anche il film con cui la critica cerca di dare una collocazione politica destrorsa al regista, ma in generale Carpenter è un anarchico estremamente critico nei confronti delle amministrazioni che la sua carriera ha toccato. Sia 1997: fuga da New York che Essi vivono sono due contromanifesti della politica americana.
Ancora di più lo è il sequel-remake delle avventure di Snake Plissken, Fuga da Los Angeles, un’opera realmente sovversiva che unisce oltretutto due anime diametralmente opposte, quella di Carpenter e quella ultraconservatrice, ma altrettanto ribelle, di Kurt Russell. E lo stesso Ghosts of Mars anticipa di pochi mesi quello che l’amministrazione Bush Jr. avrebbe fatto in Afghanistan e Iraq.
Due anni dopo Distretto 13, Carpenter gira Halloween, un successo incredibile che scrive una pagina nuova nel genere horror e che caratterizzerà gran parte della produzione futura del regista.
Michael, Snake, Jack and co.
Il cinema di John Carpenter è estremamente iconografico. Michael Myers è la prima icona, poi sarebbero arrivati Snake Plissken e Jack Burton, fino all’eccezionale Jack Crow di James Woods in Vampires. Ma anche le sagome dei pirati di Fog, i bambini diabolici dell’ottimo remake de Il villaggio dei dannati. Tutte figure rimaste nell’immaginario cinematografico collettivo degli ultimi trent’anni. Questo perché Carpenter è un autore classico, che ha bisogno di un punto di riferimento per sé e per il pubblico, come erano le epiche figure del cinema western da lui tanto amate.
Questo suo desiderio di poter fare un film in qualche modo old style lo porta, nel 1984, a girare un’opera in cui riesce a mescolare il melò al road movie, inserendovi gli spazi e i cieli del western, citando addirittura la neve di Sentieri Selvaggi nel meraviglioso, struggente finale, una delle più belle sequenze di chiusura della storia del cinema.
Starman è un film girato per gli studios, ma Carpenter riesce a inserirvi tutti i suoi elementi caratteristici, girando un film di successo che arriva addirittura agli Oscar, grazie alla grande interpretazione di Jeff Bridges che ottiene una meritata candidatura. Sull’onda dell’entusiasmo, il regista de La cosa, pellicola che aveva quasi ucciso la sua carriera che stava adesso riuscendo a rimettere insieme, tenta la strada della commedia, unendo l’action all’avventura old style in Grosso guaio a Chinatown. Il film, prodotto dalla Twentieth Century Fox, è un mezzo fiasco, e fa uscire Carpenter dal giro delle major, un contrattempo che si rivelerà, dal punto di vista artistico, una vera liberazione.
L’essenza del Male
Tra il 1987 e il 1994 John Carpenter gira tre film fondamentali: Il signore del Male, Essi vivono e Il seme della follia. Tre opere realizzate con produzioni indipendenti, intervallate da un fugace ritorno nello studio system con la commedia fantastica Le avventure di un uomo invisibile, lavoro sottovalutato che ancora una volta strizza l’occhio ad Howard Hawks.
Ma il Carpenter dell’orrore, dell’analisi della malvagità sociale, politica e intellettuale è tutto racchiuso in questi tre film, il primo una riflessione sull’essenza stessa del Male come entità reale e tangibile.
Il secondo sulla crudeltà quotidiana da parte dell’ordine costituito nei confronti del proletariato americano, una durissima denuncia politica mascherata da B-movie di fantascienza. Infine uno sguardo fortemente introspettivo sul prezzo che deve pagare chi si occupa di creare forme narrative e mondi irreali per l’altrui intrattenimento.
Opere personali, in parte autobiografiche, che sono il cuore pulsante della poetica di Carpenter e che grazie al successo di pubblico e soprattutto critico portano nuovamente il regista nelle grazie delle major. John gira per la Paramount Fuga da Los Angeles, e per la Columbia Il villaggio dei dannati, Vampires e Fantasmi da Marte. Proprio questi ultimi due compongono un dittico caratterizzato da connotazioni politiche e religiose fortissime che sono un attacco frontale nei confronti dell’amministrazione di George W. Bush.
The Ward, il ritorno
Dopo quasi dieci anni, durante i quali Carpenter gira solo due film TV della serie Masters of Horror e supervisiona molto da lontano i vari remake dei suoi capolavori, da Halloween a The Fog, è bello vedere finalmente un nuovo film di quello che è senza dubbio uno degli autori più importanti degli ultimi quarant’anni.
The Ward è una storia che ben si inscrive nella filmografia di John Carpenter, a metà tra thriller psicologico e horror puro, ma serviva anche qualche cosa che lo stimolasse a riprendere la strada del grande schermo.
“Il merito è di Mick Garris, l’ideatore di Masters of Horror”, ha spiegato il regista.
“Gli episodi di quella serie erano progetti a basso budget, con riprese molto veloci, mi sono piaciuti moltissimo. Così ho pensato di continuare a divertirmi, applicando le stesse regole produttive a un lungometraggio a basso budget: la storia di The Ward è contenuta e le riprese non sono durate a lungo”
Elemento quest’ultimo da non sottovalutare, dato che da tempo Carpenter soffre i set faticosi, memore della realizzazione durissima di Fuga da Los Angeles, per cui lavorò sessanta notti consecutive, arrivando alla fine del film stremato.
The Ward è ambientato negli anni ’60 e racconta la storia di Kristen, interpretata da Amber Heard, una giovane donna bella e disturbata che viene trovata coperta di lividi e ferite nel deserto. Una volta sedata, viene rinchiusa in un inaccessibile reparto di un ospedale psichiatrico. Kristen non sa perché sia finita lì e non ha memoria della sua vita prima del ricovero, ma sa che non è al sicuro. Le altre pazienti, quattro giovani donne, non sono in grado di fornirle alcuna risposta, e ben presto si rende conto che le cose non sono come sembrano, finché le altre ragazze non cominciano a scomparire. Kristen deve trovare il modo di fuggire da quel luogo prima di diventarne vittima.
Costato appena dieci milioni di dollari, The Ward potrebbe essere una nuova partenza per John Carpenter, che ha ancora nel cassetto molti progetti, dai tre remake a lungo accarezzati, Il mostro della laguna nera, Un dollaro d’onore e Furia, ai film tratti dalle sue passioni letterarie, Lovecraft su tutti, ovviamente.
Noi ce lo auguriamo, senza dovere attendere troppo stavolta.