Sono passati ormai quasi due mesi da quando il Regno Unito è andato in lockdown per contrastare il Covid-19, o Coronavirus. La data ufficiale sarebbe il 23 marzo, in realtà è più corretto farla coincidere con il 20 marzo, che verrà ricordato come il venerdì in cui chiusero i pub. Del resto, this is England.
Per me in realtà la reclusione era cominciata già da qualche giorno. Volontariamente, seguendo i dettami italiani, pur vivendo a Londra, con la mia compagna avevamo deciso di metterci in quarantena volontaria dalla sera del 15 marzo. Per noi sono quindi esattamente due mesi, e quindi è arrivato il momento di fare un punto della situazione. Basato non solo su quello che si legge sui giornali inglesi, ma anche sulle sensazioni che in queste settimane ci siamo scambiati con gli amici italiani che vivono qui, naturalmente solo tramite messaggi e videochiamate. E poi, sulle limitate esperienze di vita che il quartiere in cui viviamo ci può offrire.
This is England, not United Kingdom
Una cosa importante da sottolineare. Perché una delle conseguenze più evidenti del lockdown è la spaccatura che c’è oggi all’interno dei quattro stati del regno. Della Scozia già lo sapevamo, aveva già richiesto di poter iniziare l’iter per un nuovo referendum d’indipendenza subito dopo le trionfali elezioni dello scorso dicembre per Nicola Sturgeon, primo ministro scozzese e leader dello Scottish National Party.
Ma la mala gestione dell’emergenza Covid da parte di Boris Johnson e del suo gabinetto hanno fatto incrinare molto i rapporti anche con l’Irlanda del Nord, che da tempo accarezza l’idea di tornare a unirsi con il resto della seconda isola dell’arcipelago britannico. E addirittura con il Galles, strenuo sostenitore della prima ora della Brexit, e adesso invece in forte disaccordo con quegli stessi che la Brexit la devono portare a casa. Almeno in teoria.
Brexit o morte
Al momento solo la seconda, dato che il bodycount nel Regno Unito ha raggiunto le 34000 unità, anche se l’istituto nazionale di statistica afferma che siano in realtà oltre 42000. Tutti temono che il numero sia ben più elevato, ma in ogni caso parliamo della nazione europea con il maggior numero di decessi in Europa. Per quanto possa sembrare inutile trovare dei responsabili in una situazione del genere, in questo caso è in realtà semplicissimo. Il primo ministro in carica e il suo governo sono responsabili di gran parte di questo disastro. Hanno agito da dilettanti allo sbaraglio sin dall’inizio e non hanno ancora smesso.
La positività al Covid di Boris Johnson ne è la prova. l’uomo che in ospedale stringeva impavidamente le mani ai primi malati, pensando di dare chissà quale buon esempio.
Boris afferma di essere stato in pericolo di vita, più voci di corridoio dell’NHS dicono che non stesse poi così male. In ogni caso, per tre settimane il Regno Unito è rimasto nelle mani di Dominic Raab, ministro degli esteri, e di un’altra manica di improvvisati come Matt Hanckock, segretario di stato per la salute e gli affari sociali, e Michael Gove, capo del gabinetto (giusto quello potrebbe fare), Priti Patel, il ministro dell’interno che farebbe deportare anche i suoi genitori. Vi risparmio il resto, messi tutti insieme porterebbero avanti comodamente cinque o sei stagioni di un reboot del Benny Hill Show. Invece governano l’Inghilterra, convinti che sia ancora la più grande potenza mondiale.
D’altronde, il popolo inglese li ha voluti in carica, e con una ampia maggioranza, per portare a termine una missione: la Brexit. Purtroppo anche qui sembrano esserci dei problemi. Proprio nella mattina del 15 maggio c’è stato il terzo round di consultazioni tra le parti. In sintesi, il Regno Unito afferma che i progressi sono pochi, perché inspiegabilmente l’Unione Europea non vuole cedere alle richieste della nazione che ha deciso di andarsene.
Di fatto, la Gran Bretagna, vorrebbe poter intessere commerci con gli stati dell’Unione facendo accordi individuali con ognuno dei ventisette, mantenendo però privilegi come se restasse nell’Unione. Di contro, non vuole più sottostare a nessuna legge europea e vuole gestire a proprio piacimento i confini, oltre che decidere autonomamente come comportarsi con i non britannici che vivono e lavorano nella terra di Sua Maestà Elisabetta II.
Se siete appassionati di fantascienza, continuo.
Michael Gove, quello del gabinetto, proprio nella mattina del 15 maggio ha sollevato forti preoccupazioni su come verranno trattati i cittadini britannici che vivono nei 27 stati europei, dato che non c’è ancora una procedura di tutela e i tempi stringono. Di contro afferma Gove, gli europei in UK hanno avuto ben 27 mesi di tempo per mettersi in regola, con la procedura di Self Assessment. Vero, sebbene dopo tre mesi che ho avviato la procedura abbia avuto risposta solo tre giorni fa. La lettera diceva che erano molto felici di sapere che avessi avviato la procedura. Anch’io. Non è andata a tutti così, molti hanno già ricevuto risposta definitiva. Molti altri no. Giusto per la cronaca.
In tutto questo, mettendo da parte l’assurdità di non volere accettare l’invito da parte dell’Unione a ritardare di almeno un anno la Brexit, vista la delicatezza della situazione mondiale, possiamo aggiungere molte altre chicche.
I respiratori, per esempio. La Gran Bretagna non ha partecipato a un acquisto collettivo di respiratori a cui era stata regolarmente invitata dalla Comunità Europea. Una procedura che avrebbe abbattuto tempi e costi e a cui poteva partecipare dato che fino al 31 dicembre è di fatto ancora uno stato europeo. Le ragioni della mancata partecipazione? Risposta multipla. Hanno iniziato dicendo che non hanno ricevuto la mail, poi che l’hanno ricevuta troppo tardi, quindi era colpa della comunità. Però, stranamente, già due settimane prima era stata ratificata una commessa alla Dyson, la famosa ditta di aspirapolveri, per 10.000 respiratori. L’unico problema è che la Dyson, che come core business ha quello di aspirarla l’aria, non di spingerla dentro, non aveva le linee di produzioni adatte per costruire degli oggetti che, guarda un po’, non aveva mai costruito. Il risultato di questo colpo di genio lo leggiamo nei bollettini quotidiani. E indovinate un po’? La commessa è stata poi ricusata dal governo.
Ma la risposta giusta qual è? Semplice, il Regno Unito non ha partecipato perché dal 31 gennaio ha lasciato l’Europa. Questa la comunicazione che era stata data all’interno del governo e che era stata svelata da un dirigente anziano del ministero per la salute pubblica. Salvo poi essere ritrattata il giorno dopo, non essendo stata particolarmente gradita a Matt Hancock.
Ci sarà la Brexit? Sì, perché è per quello che Johnson & co stanno al governo. Sebbene, perdonate il cinismo, buona parte del loro elettorato sia negli ultimi mesi passato a miglior vita. E oltre ciò, finalmente i laburisti hanno un leader credibile. Keir Starmer, successore di Jeremy Corbyn, ha già fatto meglio di lui. Ci voleva poco, d’altronde, bastava fare una qualunque cosa. Nel primo confronto alla Camera con Johnson lo ha messo alle corde, costringendo BoJo a dare il meglio di sé nella sua specialità olimpica: la supercazzola. Se ci fossero elezioni a breve, la situazione potrebbe essere addirittura ribaltata rispetto a un anno fa.
Gli inglesi e il Covid
Il 14 marzo ero in viaggio nel sud dell’Inghilterra. Stavo ascoltando la radio mentre guidavo nelle campagne dell’East Sussex. Il dj, parlando del Covid, ha detto la seguente cosa:
“Siamo inglesi, siamo sopravvissuti a guerre ed epidemie, figuriamoci se ci spaventa un’influenza”.
Neanche Piero Fassino sarebbe stato capace di meglio.
Eppure, a dispetto delle immagini, l’atteggiamento nei confronti di questa situazione da parte della popolazione è molto confuso. Ci sono da fare le giuste considerazioni. Prima di tutto, esiste l’Inghilterra ed esistono le altre nazioni del Regno Unito. E poi esiste l’Inghilterra ed esiste Londra. E poi, dentro Londra, esistono tante altre realtà. E per ognuna c’è da fare un discorso diverso.
City of Westminster, Kensington, Chelsea, durante il lockdown sono stati praticamente deserti. Ma è anche vero che sono zone di uffici o con residenti molto abbienti, che non appena hanno annusato l’ipotesi di chiusura, si sono rifugiati nelle loro case di campagna. Non a caso, nel Surrey, nel Lancashire, nel Kent molti residenti si sono lamentati dell’invasione dei londinesi, che ha oltretutto aiutato non poco a propagare il virus nelle zone rurali, con conseguenze devastanti.
La mia personale esperienza è quella di Finsbury Park, poco a nord dal centro, snodo ferroviario importante per i pendolari e zona solitamente caotica. Qui il lockdown è arrivato molto addomesticato. Dalla finestra del nostro appartamento, che è in una via residenziale, senza neanche un negozio, abbiamo visto passare migliaia di persone, tutte senza mascherina e guanti e incuranti delle distanze sociali. Andare a fare la spesa è come aspettare il via da Guido Pancaldi e Gennaro Olivieri, i giudici di Giochi Senza Frontiere. Una prova di abilità per evitare queste buffe creature che vanno in giro con le infradito quando si superano i 12° centigradi.
Da un paio di settimane vado a correre, il parco davanti casa è aperto. In quella mezz’ora conto un paio di migliaia di persone.
La corretta pronuncia di “Lockdown” è “Holiday”.
Stay Alert and Stay Home
Il governo inglese non ha mai avuto una strategia. Hanno prima preso in giro quello che facevano gli altri governi europei, Italia per prima, salvo poi seguire, tanto pedissequamente quanto malamente, proprio le mosse operate dal Giuseppi Conte nazionale. Neanche nei sogni più bagnati avremmo potuto immaginare che questo governo potesse in qualche modo essere d’esempio per qualcuno. Questa è la prova che la speranza è l’ultima a morire.
La dimostrazione di questa “copycat strategy” è l’ingresso, inaspettato e scriteriato, in una ipotetica fase due in Inghilterra. Attenzione, Inghilterra, perché Galles, Irlanda del Nord è tantomeno Scozia non ci pensano proprio. Tant’è che il cambio di comunicazione in Stay Alert non è stato neanche preso in considerazione dalle altre nazioni.
Questo improvviso colpo di scena è dettato dalla situazione economica drammatica in cui versa già il paese. Si stimano circa tre milioni di disoccupati alla fine dell’emergenza, 83 miliardi di sterline necessari fino a ottobre solo per coprire gli aiuti di stato, centinaia di migliaia di attività che non riapriranno i battenti, soprattutto nei settori dell’hospitality e del food and beverage.
Il 20 marzo Boris Johnson annunciò la chiusura dei pub alle 17:00 del venerdì. Lo stesso giorno in cui a ogni singolo pub del paese arrivano i rifornimenti per affrontare il weekend. Nei magazzini dei pub giacciono al momento circa 50 milioni di pinte di birra, milione più milione meno, che equivalgono a 250 milioni di sterline. L’incasso di tre giorni di tutte le public house del regno. Tra un mese tutto quel nettare degli dei dovrà essere buttato. Anche perché al momento non c’è una data di riapertura prevista per i pub. Per ristoranti e caffè si ipotizza giugno, per i pub settembre. Anche se…
In settimana c’è stata una riunione tra rappresentanti delle catene dei pub e il governo, per pianificare un’apertura almeno per chi ha un beer garden. Potrebbero esserci a breve sorprese. Insomma, si potrà respirare a malapena, ma con una bionda in mano.
La riapertura è l’unica via d’uscita per il governo Johnson. La non gestione dell’emergenza prevederebbe un lockdown strettissimo ancora per un paio di mesi, forse più. Alla fine del Regno Unito non resterebbe molto, e la Brexit gli darebbe il colpo di grazia. Per salvare il gregge bisogna renderlo immune. In realtà non lo aveva detto il 13 marzo, alla fine BoJo si trova a doverlo fare per forza. L’Inghilterra non dimenticherà Boris Johnson. Voleva passare alla Storia. In un modo o nell’altro ci riuscirà.