Eva contro Eva e Scarpette rosse, spezzettati, maltrattati e scioccamente rimescolati in una storia, quella de Il cigno nero, che voleva essere un thriller psicologico ambientato nel mondo del balletto. Ma un thriller presuppone dei colpi di scena e il mondo del balletto vorrebbe che un balletto ci fosse e venisse mostrato. Invece Aronofsky dell’immeritato Leone d’Oro per The Wrestler (avremmo capito di più una coppa Volpi a Rourke) e delle altrettanto inspiegabili nomination all’Oscar per il Miglior Film e la Miglior Regia, si prende sempre più sul serio, confezionando un film che è la storia malata e intossicante di un’ossessione, ma trattandola in maniera superficiale e alquanto sciocca.
Il corpo di ballo e la rappresentazione teatrale vengono qui ridotti a stupidi cliché, reiterando concetti fino ad annoiare lo spettatore, focalizzandosi su aspetti infantili che appiattiscono fino all’inverosimile l’intera vicenda. Tutto il lavoro sul corpo che Natalie Portman ha fatto prima delle riprese viene mortificato da una regia poco fantasiosa e per nulla originale, che inanella un primo piano dopo l’altro, non inquadrando mai i ballerini nell’atto del provare, del danzare, dell’interpretare.
La camera a mano è abusata e utilizzata per seguire la nuca della protagonista come accadeva in The Wrestler, ma mentre lì imitava riprese sportive di pugili che stanno per salire su un ring, qui è totalmente ingiustificata e serve solo a far passare per stile personale l’incapacità di un regista di trovare un linguaggio proprio, che focalizza moltissimo l’attenzione sulla trasformazione in cigno nero della sua protagonista, ma poi la realizza utilizzando un effetto visivo che, persino nel taglio dell’inquadratura, è identico a quello già usato mesi prima in un videoclip di Miley Cyrus – non esattamente un esempio alto da imitare.
A poco serve l’intenso lavoro di montaggio di Andrew Weisblum (la sua sì che è una nominatio meritata) se poi le inquadrature giuste semplicemente non ci sono. A nulla serve l’interpretazione della Portman, se poi è alle prese con battute che non chiudono una frase di senso compiuto, se poi il suo volto è uno stereotipo di frustrazione. E a nulla serve nominare fino allo sfinimento la Coda di Odile, una sequenza che nella realtà ha ossessionato davvero tante le ballerine, se poi questa “sfida contro se stessa” che Nina deve compiere non viene mostrata mai, nemmeno una volta nell’intero film.
La stampa internazionale continua a elogiare la descrizione del personaggio, l’impegno, il sacrificio, l’estenuante piegare il proprio corpo alle esigenze della danza accademica narrativa. Forse dovrebbero vedere meno talent show ed entrare in un’Accademia, perché ciò che Nina fa nel film è persino poca cosa.