È un urlo da invasato quello che l’anchorman Howard Beale rivolge ai propri telespettatori perché dimostrino la loro rabbia nei confronti di un sistema che non funziona più. È lo slogan che ha reso leggendario Quinto potere, un film che ha segnato in maniera indelebile il cinema americano degli anni ’70.
Atto d’accusa contro il cinismo e l’aberrazione morale del sistema televisivo americano
Ma più in generale contro la legge della giungla nello show business, il film ha una caratteristica che lo rende differente da qualsiasi cosa vista in precedenza (e purtroppo anche da tutto ciò che venne dopo): la forza specifica del film di Sidney Lumet sta nel possedere l’impalcatura narrativa, lo svolgimento drammatico e la caratterizzazione dei personaggi della satira comica, pur essendo stato realizzato come un dramma da camera, e questo stridore concettuale gli regala una forza che pochi altri film hanno avuto.
In alcuni momenti la sceneggiatura a orologeria di Paddy Chayefsky e la progressione drammatica assumono, grazie a questo scarto di percezione, un tono che spesso sfocia nel grottesco, regalando allo spettatore scene assurde eppure perfettamente incastonate in una storia di follia collettiva.
La grandezza dello script consiste poi nel non dare un riferimento preciso sul messaggio, e una morale facilmente mercificabile: se ad esempio il personaggio di Finch appare fin da subito come evidentemente squilibrato, allo stesso modo è lui ad avere in bocca le parole infuocate della legittima ribellione al sistema.
E contraltare di Beale è il suo amico e produttore, Max Schumacher, unica figura depositaria di un’etica, di una visione “morale” del fare informazione: eppure in più di un’occasione quest’uomo proveniente da un’altra epoca è rappresentato come un’istituzione conservatrice.
Quinto potere non è memorabile soltanto per Chayefsky
A fare grande questo lungometraggio è anche la regia sempre sobria, lucidissima di Sidney Lumet, coadiuvato da un direttore della fotografia di rara eleganza e potenza espressiva come Owen Roizman. E poi il gruppo di attori da unire in un unico, commosso applauso: ognuno di loro riesce a essere perfetto contrappunto dello stile dell’altro.
Basta vedere l’energia istrionica di Finch o della Dunaway e osservarle in scena con lo stile trattenuto di Holden per ammirare scuole di recitazione differenti tra loro, in questo film perfettamente compatibili. Cinema che sapeva mettere in discussione i fondamenti sociali, ideologici e politici del periodo storico in cui veniva realizzato, Quinto potere è la più potente e inquietante rappresentazione dell’irrazionalità umana, che guarda al successo senza più capire lo scopo dello stesso.
Un capolavoro oggi come ieri capace di scuotere. Speriamo anche di insegnare ancora qualcosa.