Wes Craven è stato uno dei registi più attivi a Hollywood negli ultimi dieci anni. La trilogia di Scream, il bel melò La musica del cuore, e adesso, a poca distanza l’uno dall’altra, un thriller di chiara ispirazione hitchcockiana, Red Eye, con protagonisti Rachel McAdams e Cillian Murphy, e un horror, una storia di licantropi al femminile, Cursed, con Christina Ricci.
Tutto questo dopo avere rivoluzionato già l’horror moderno con Freddy Krueger e la saga di Nightmare. Uomo di grande cultura, gentile e molto disponibile, parlare con Wes Craven è un piacere. Lo abbiamo incontrato a Roma, durante una delle tappe europee del tour promozionale di Red Eye.
Wes Craven, prima di tutto una curiosità. Spesso i suoi film si concludono in una cucina. La casa è un elemento importante nel suo cinema, ma perché proprio in cucina?
Perché si tratta di un elemento psicologico. La casa è un simbolo di quello che sei e da dove provieni, dove sei nato e cresciuto. È un simbolo potentemente evocativo perché rappresenta una proiezione fisica della tua mente.
Hollywood sembra essere poco sensibile a registi che come lei fanno questo tipo di considerazioni.
Le differenze tra Cursed e Red Eye possono spiegare come vanno esattamente le cose. Stavo lavorando sull’adattamento di un film giapponese che mi era molto piaciuto e di cui volevo fare il remake. Cinque giorni prima di iniziare a girare la Miramax mi dice che devo lavorare su quest’altro progetto, Cursed appunto.
Una follia che mi ha portato via undici settimane di riprese. Poi il film è stato bloccato, tutto quello che era stato fatto fino a quel momento buttato via, la sceneggiatura riscritta per cinque mesi, e poi l’ho rigirato, dall’inizio alla fine, tutto per motivi assolutamente inesistenti.
Alla fine Cursed mi ha portato via tante energie e più di tre anni di vita. Quando la Dreamworks è venuta da me con l’idea di Red Eye, invece, sono arrivati con la sceneggiatura pronta, senza nessuno che volesse dire la sua su come si dovesse fare il film. Dal momento in cui ho firmato il contratto alla consegna di Red Eye completato sono passati cinque mesi e mezzo, tutti di buon lavoro.
Fare film a Hollywood significa lavorare con due grosse difficoltà. La prima sono i produttori, che vogliono sempre mettere bocca sul tuo lavoro, perché sono convinti di sapere perfettamente cosa significhi fare un film, che vuol dire anche fare film che abbiano determinati contenuti dal punto di vista sociale, razziale e religioso. In seconda battuta devi considerare sempre il tuo film come un prodotto che deve essere venduto, conseguenza questa del fatto che le major sono tutte di proprietà delle multinazionali.
Oltretutto negli ultimi tempi ci sono altri problemi, legati alla libertà d’espressione.
Esatto, ci sono tante persone che considerano il lavoro di un regista come me, o altri che fanno il mio stesso lavoro, pericoloso per i loro figli, e quindi cercano in tutti i modi di fermarti o di controllarti. L’ultima battaglia che abbiamo perso è stata quella per la commercializzazione di un nuovo modello di DVD Player che rimonta il film durante la riproduzione, escludendo le scene violente, di sesso e altri contenuti ritenuti dannosi. Questa macchina è stata messa a punto dalla comunità mormone, che controlla la più grande catena di videonoleggi del mondo, Blockbuster, dove questi aggeggi sono stati già messi in vendita. La Director’s Guild ha fatto di tutto per bloccarli, ma la Corte Suprema ci ha dato torto e quindi non possiamo fare più niente.
A proposito di libertà creativa, la serie Masters of Horror permette ai registi che ci stanno lavorando il final cut senza alcuna limitazione. Come mai lei non ha fatto parte del progetto?
Semplicemente perché mi sono ritrovato sempre a lavorare ad altro in questi ultimi anni, tra Cursed e Red Eye. In realtà mi hanno chiamato più volte, ma ero sempre impegnato, quindi si è trattato semplicemente di una questione di incastro di tempi.
Il cinema horror moderno non riesce più a creare delle icone del genere, cosa che a Wes Craven è invece è riuscita con Freddy Krueger e Scream. Come mai, secondo lei?
È una cosa difficile, è come costruire una nave in una bottiglia, qualche volta ti riesce e qualche altra no. A me è riuscito un paio di volte, ma credevo molto anche in Horace Pinker, il maniaco di Shocker, invece con lui è andata male. Il fatto che ci sia riuscito non vuol dire che conosca il segreto per farlo sempre. La mia più grande paura è quello di svegliarmi una mattina e accorgermi che non ho più questo dono.
Le donne sono importanti nel suo cinema. Perchè predilige eroine per i suoi film?
Credo sia una cosa abbastanza comune in generale, anche in altri film degli ultimi anni, come The Ring e The Grudge, le protagoniste sono delle ragazze. La figura della fanciulla in pericolo risale al cinema muto, è la maniera più semplice per creare un personaggio vulnerabile. Ma già da tempo la figura della donna al cinema è cambiata, basta vedere il cinema di James Cameron. In questo modo ti trovi a lavorare con un personaggio che credi sia debole e che invece diventa sempre più forte. La donna genera la vita, è più portata anche a proteggerla rispetto agli uomini.