14 luglio 2020. Compie ottant’anni Renato Pozzetto, attore, cantante, paroliere, sceneggiatore che per due decenni, gli anni Settanta e Ottanta, è stato uno dei più influenti intellettuali italiani. La storia di Renato Pozzetto l’ha raccontata lui stesso in una bella intervista al Corriere della Sera. Quello che invece ancora poco si è fatto è analizzare l’importanza straordinaria che la sua carriera cinematografica ha avuto nei confronti della cultura italiana.
Come lui stesso conferma, per girare il primo film da solo, senza Cochi Ponzoni, amico d’infanzia e compagno di cabaret, chiese al suo sodale il permesso, già questo un gesto d’altri tempi. Permesso accordato, il film era Per amare Ofelia, di Flavio Mogherini, storia di un trentenne che non vuole crescere a causa del morboso rapporto con la madre. Fotografia di uno dei tanti paradossi italiani che Pozzetto interpreta con una candidezza che si ritroverà spesso nella sua carriera, soprattutto nelle sue regie.
L’anno dopo, nel 1975, dopo avere lavorato già la prima volta con Steno ne La poliziotta, uno dei primi film femministi della storia italiana (David di Donatello a Mariangela Melato, attrice straordinaria che non verrà mai abbastanza celebrata), Pozzetto ritrova Mogherini per un altro film importantissimo, Paolo Barca, maestro elementare, praticamente nudista. Ancora una volta si mette alla berlina il Belpaese, con un duplice contrasto culturale, quello tra nord e sud e tra liberazione sessuale e ipocrita bigottismo. In un anno, Renato Pozzetto è diventato sinonimo di un’Italia moderna, che si vuole liberare dalle catene delle tradizioni che ne stanno frenando l’evoluzione culturale.
Anni Settanta, la classe operaia va in paradiso
Il movimento entra nelle fabbriche portando consapevolezza ai lavoratori e spaventando i padroni. Pozzetto si mette da entrambe la parti della barricata. Prima in Terra, episodio del film Di che segno sei?, prima sua collaborazione con Sergio Corbucci, in cui un umile muratore pendolare riesce a giacere con la moglie di un ricco imprenditore in cambio di una sigaretta. Ne Il padrone e l’operaio interpreta invece il primo, contrapposto a un monumentale Teo Teocoli, operaio cialtrone e malato di sesso inviso al ricco industriale, salvo poi scoprire che la sua è solo invidia e consapevolezza di una condizione morale ignobile, quella appunto dello sfruttatore. La regia è di Steno, il film uno dei più importanti dell’intera carriera di Pozzetto, ma anche uno dei più facilmente dimenticati.
Da Vanzina padre a Vanzina figlio, nel 1976 battezza l’esordio di Carlo, Luna di miele in tre, film che bacchetta ancora una volta l’ipocrita atteggiamento degli italiani nei confronti del sesso. La sceneggiatura di Carlo ed Enrico è magnifica, una slapstick comedy divertente quanto feroce, con un Pozzetto praticamente perfetto nell’interpretare un italiano medio senza qualità.
Lui che invece di qualità ne ha, come dimostra in Oh Serafina, dove diretto da Alberto Lattuada offre un’interpretazione magnifica dell’industriale suo malgrado. Film profondissimo, una sorta di Oltre il giardino padano, che ancora una volta evidenzia il piacere di Pozzetto nell’affrontare il suo lato bambinesco e innocente.
È questo il motore del suo geniale surrealismo, che sfoga nelle sceneggiature e nelle poche regie della sua carriera. La prima è l’episodio che apre Io tigro, tu tigri, egli tigra, che interpreta con Cochi, dai due anche scritto insieme a Enzo Jannacci. La storia di Elia, trasportatore di letame, che incontra Caminito, mantenuto dalla ricca e insopportabile moglie, è un susseguirsi di situazioni geniali, apparentemente senza senso, in realtà iperboli degli italici vizi e cattive abitudini.
Nello stesso 1978 l’esordio nel lungometraggio, con Saxofone, dove divide la scena ancora con Mariangela Melato, non a caso. Con sé porta tutto il gruppo del Derby, il cabaret di Milano dove si formò negli anni Sessanta e Settanta una scena artistica straordinaria, con Boldi, Teocoli, Andreasi, e i più giovani Abantantuono, Porcaro, Thole. Saxofone è una critica feroce nei confronti dell’arte di quegli anni, e anche un po’ di se stesso e del suo suo successo, che lo stava definitivamente allontanando dalle sue origini.
Renato Pozzetto è ormai una star
Insieme ad Adriano Celentano la manna del botteghino italiano. Si incontrarono due volte, e la prima, Ecco, noi per esempio, è memorabile. Uno dei migliori film di Sergio Corbucci, che fotografa, attraverso il fotoreporter Clic, interpretato da Celentano, l’Italia della contestazione e dei falsi profeti, scoperta con sempre maggiore disillusione dall’ingenuo poeta di provincia Palmambrogio Guanziroli. Divertentissimo e struggente, con un finale straordinario, Ecco, noi per esempio è un film che merita una rivalutazione storica e critica.
Quello che sta succedendo, per fortuna da tempo, con La patata bollente. Ancora Steno, a cui non si renderà mai sufficiente merito per quello che ha dato al cinema italiano, che spiega ai suoi conterranei che l’omosessualità non è una malattia. O meglio, ci prova, perché dopo quarant’anni molti ancora non lo hanno capito. Lo fa smascherando una grande ipocrisia del nostro partito comunista di quegli anni, ancora in linea con gli omofobi dettami staliniani.
Pozzetto è un operaio sindacalista militante del PCI, detto il Gandi. Una sera salva da un’aggressione fascista Claudio, giovane e affascinante libraio gay. Gandi lo ospita a casa per farlo guarire dalle ferite, ma quando scopre le tendenze del ragazzo è combattuto tra la sincera amicizia che è nata tra i due e il timore del giudizio dei suoi compagni e della sua fidanzata (una Edwige Fenech all’apice del suo splendore).
Il Gandi è uno dei personaggi meglio scritti del cinema italiano, nonché uno dei più sociologicamente importanti. Il fatto che sia Pozzetto a interpretarlo, contrapposto a una star della canzone italiana e attore eccellente quale Massimo Ranieri, fu un atto sovversivo, cercando di spingere la società italiana, cattolica e non, verso un futuro che ancora oggi appare lontano.
Ci provò anche Pasquale Festa Campanile con Nessuno è perfetto. Prendendo in prestito la battuta finale di A qualcuno piace caldo, Campanile racconta la storia d’amore tra un agiato borghese di provincia e un transessuale, che ha le fattezze di Ornella Muti, ma che una volta era un paracadutista dell’esercito tedesco. Era il 1981, e in Italia si faceva Il marito del soldato. Come mai oggi ci ritroviamo con Salvini ha un che di misterioso.
Gli anni Ottanta sono quelli della Milano da bere, che Pozzetto racconta da diversi punti di vista. Prima in Un povero ricco, dove l’imprenditore veste i panni del proletario, l’ennesimo transfert sociale. Poi ne Il ragazzo di campagna, in cui la messa alla berlina del rampantismo rialimenta la vena surreale, ma con ancora maggiore leggerezza.
Leggerezza che raggiunge l’apice in Da grande, film di Franco Amurri da cui venne poi tratto Big, storia di un bambino che voleva crescere, un Peter Pan in corto circuito. Difficile immaginare un interprete diverso. Dopo la carriera cinematografica prende una piega più amara. Casa mia, Casa mia, di Neri Parenti, è un film di denuncia sociale travestito da commedia, uno spaccato sul mercato immobiliare malato nell’Italia di quegli anni, tra equo canone e speculazione.
Poi inizia la collaborazione con il regista spagnolo Jose Maria Sanchez, che lo dirige in due film. Il secondo, Mollo tutto, del 1995, è una ancora attualissima riflessione sull’arroganza dei paesi industrializzati e i flussi migratori.
Come spesso accade a chi viene concesso lo straordinario dono di saper far ridere, le lacrime di gioia non fanno lucidamente vedere quello che c’è oltre un gesto o una battuta. Renato Pozzetto è stata una figura fondamentale nella creazione dell’identikit dell’italiano del Novecento. Alla stessa stregua dei Sordi, Gassman, Tognazzi, ma in una forma narrativa completamente diversa. Diversa anche da Totò, che fu più maschera, anche tragica, del nostro paese.
Pozzetto, nella sua imperturbabilità presa in giro in una straordinaria sequenza di Sono fotogenico di Dino Risi, ha scelto di raccontare un italiano sognante, ingenuo, alla scoperta continua di nuovi mondi a pochi chilometri da casa.
Ha raccontato soprattutto le trasformazioni del costume, spesso anticipandole, come nel dittico femminista Mia moglie è una strega/Mani di fata, entrambi in coppia con Eleonora Giorgi, forse la sua migliore partner femminile sullo schermo.
Ha avuto anche la fortuna di essere utilizzato al meglio dai registi con cui ha lavorato, spesso anche nel genere, come fecero i fratelli Corbucci, Sergio nel sottovalutatissimo Giallo Napoletano, e Bruno, che nello stesso 1979 lo trasforma in Riccardo Finzi, investigatore milanese nato dalla penna di Luciano Secchi, a.k.a. Max Bunker, il creatore di Alan Ford.
Ha attraversato oltre cinquant’anni di storia italiana con la sua carriera, e già da molto tempo Renato Pozzetto ha diradato assai la sua presenza, soprattutto da quando dieci anni fa è diventato vedovo, un dolore ancora difficile da accettare per lui. Anche questo uscire di scena lo ha fatto con una grazia e una compostezza rare.
Per tutte queste ragioni è un grande piacere augurarle buon compleanno, signor Pozzetto.