“Ciò che siamo ci accompagna per tutta la vita, ma non vuol dire che debba rappresentarla completamente. Può sembrare che per tutti noi ci sia un percorso prestabilito, una strada che non possiamo abbandonare… che ci obbliga a rispettare una scelta che forse qualcun altro ha fatto per noi. Ma non è così. Ciò che siamo è solo l’inizio del viaggio, verso ciò che possiamo diventare”
Andrea Gugliemino, Samuel Stern n.8 – Il secondo girone
Pubblico questa intervista quasi alla fine del ciclo vitale da edicola del numero 8 di Samuel Stern, Il secondo girone. Sta per cedere il passo al numero successivo, ma naturalmente resterà disponibile su richiesta. Mi si è reso necessario respirare, dopo la lettura e la rilettura. Primo perché questo racconto parla anche di me, in modo involontario s’intende, almeno in parte. Poi perché Andrea Guglielmino è un amico e un collega stimato, ho letto tutti i suoi libri e moltissimi suoi articoli, ci parlo regolarmente nella via reale, interagisco molto con lui sui social, mi ha introdotto in un gruppo di nerd atavici che mi ha salvato dalla depressione, anni fa… dovevo prendere le distanze da tutto questo prima di parlarvi del suo esordio in Samuel Stern. Leggendolo l’ho ritrovato in ogni pagina, in moltissime battute dei personaggi. Intervistandolo, è finita che abbiamo chiacchierato come spesso accade.
Samuel Stern n.8 è bellissimo, è un racconto maturo e lucido, denso di citazioni mai gratuite, che tocca tante corde, probabilmente parla allo stesso modo a molte persone. Ovviamente a me un po’ di più, come sarà successo ad altri amici di Ang. La recensione del numero l’ha scritta il nostro De Simone. Non ci nascondiamo dietro un dito: siamo tutti amici qui. Il che non impoverisce il discorso critico, anzi lo avvalora. Se ci leggete da qualche tempo, sapete che con gli amici usiamo persino giudizi più feroci.
Perciò non perdiamoci in altre chiacchiere, perdetevi in quelle che abbiamo già fatto, sperando che come me restiate affascinati dall’uomo garbato, spiritoso fino all’estremo, osservatore senza mai nessuna malizia che è Andrea Guglielmino. E che abbiate voglia di leggere tutto il resto di Samuel Stern, e poi i suoi racconti, i suoi saggi…
Ang, dimmi la verità: la tenutaria del bordello Il secondo girone Madame Luthère… è Dita Von Teese invecchiata!
Credo di poter dire di sì, ma è una suggestione del disegnatore, Stefano Manieri. Non ho dato reference ben precise per i personaggi, se ben ricordo. Semplicemente, gli ho indicato delle caratteristiche. Gli ho detto che doveva essere una bella signora, di una certa età, che ha fatto il mestiere e ora non lo fa più, ma che ha conservato quel fascino… Quando ho visto il disegno, mi ricordava qualcuno, quindi gli ho chiesto a chi si fosse ispirato. Lui ha riposto Dita Von Teese, pertanto ti confermo che si tratta di lei. A me questa cosa è piaciuta e ci sta. Mantiene l’aspetto spettacolare del Secondo girone.
Come non pensare a Dita? Le hai messo tre tette, che è un classicone del Burlesque!
Eh, non lo ho messo a caso, anche perché sono andato a cercare fra i temi del circo freak – anche se non ho voluto rappresentare un circo classico – e poi, per forza di cose, c’è finito anche una sorta di immaginario burlesque. Sapevo che la donna con tre tette era un classico, sono incappato in questa immagine varie volte. Poi c’è il riferimento ad Atto di forza. Tutti riconoscono questa citazione, che c’è. Ma soprattutto, a me serviva come riferimento un qualcosa che fosse senza ombra di dubbio un richiamo sessuale, ma che non fosse immediatamente visibile. I riferimenti in ciò che scriviamo ce li portiamo dietro, a volte anche senza accorgercene, vengono fuori un po’ spontanei. Mi serviva che il personaggio di Madame fosse ambiguo. Uno entra nel Girone e pensa che lei sia una sfruttatrice, invece dopo che ha presentato tutti i personaggi, rivela di essere una di loro.
Indubbiamente ricorda un po’ un circo freak, ma senza tutto lo sfruttamento che, storicamente, stava dietro al Circo Barnum…
Infatti anche The Greatest Showman mi è piaciuto molto e sicuramente qualche suggestione arriva anche da là. Non li chiamiamo mai freak, ma personaggi particolari. Loro si considerano bellissimi e lo sono, poiché sono la crème de la crème dei personaggi particolari. Stanno lì perché attraggono un certo tipo di persone. L’unica volta che viene usato il termine freak, colui che lo usa viene corretto. Per loro non c’è un freak show, c’è la bellezza, l’omorfia, l’armonia o la particolarità specifica. Nel caso di Madame, quando lei mostra il terzo seno, rivela di proteggere tutti loro, di essere una sorta di manager. Ognuno di loro fa una scelta libera, si tiene i suoi soldi, non c’è uno sfruttamento nel suo bordello. La concessione del corpo è evidenziata, ma non parliamo mai di prostituzione. Usiamo sex workers, ma non per essere politicamente corretti. Semplicemente perché loro sono liberi e volevo che fosse chiaro in ogni aspetto. Fanno una scelta sul proprio corpo che denota la loro libertà e quella dell’aver trovato una famiglia.
Sicuramente i riferimenti al cinema in te sono fortissimi…
I riferimenti sono moltissimi e arrivano a più livelli. Per esempio c’è una scena di Adrenaline, un film francese degli anni Novanta, quando David si fa gonfiare per diventare simmetrico. Ci metto tante citazioni, ma poi se il lettore non le capisce, tutto funziona lo stesso. Il citazionismo è funzionale alla storia e mai fine a se stesso.
Certo, questo è evidente, persino io non credo di averle colte tutte, ma come dici tu, non è una gara, non si sfida il lettore a riconoscerle. Solo, penso che per persone come noi, che guardano film e leggono fumetti da sempre, sia impossibile non farne.
Naturalmente oggi il fumetto non può che essere postmoderno. Dylan Dog era il fumetto postmoderno per eccellenza. Samuel Stern è post-postmoderno, ovviamente, perché include per forza di cose anche anni e anni trascorsi a leggere Dylan Dog. Quando Samuel è stato lanciato, c’è stato questo gioco mediatico, fomentato dai social… ma ovviamente non c’è nessuna rivalità, nemmeno la pretesa di averla. A noi piace Dylan Dog, io lo leggo. Inoltre non sono io l’autore del personaggio, però è stato carino questo gioco mediatico.
Andrea Gugliemino, che nella vita fa principalmente il giornalista cinematografico, come arriva a Bugs Comics e poi a Samuel?
Il fumetto mi è sempre piaciuto e l’ho sempre corteggiato. Parallelamente all’università, ho anche fatto tre anni di Scuola Romana dei Fumetti, iniziando da disegnatore. Poi ho capito di non avere una mano sufficientemente felice. Un conto è saper disegnare, un altro è farlo per dieci, dodici ore al giorno. Allora ho capito che la scrittura per il fumetto poteva essere una strada.
Tu non ti definisci scrittore, ma scrivente…
Mi alzo la mattina e inizio a scrivere. Prendo gli appunti più disparati, scrivo la lista della spesa, magari le idee per un soggetto, poi lo metto da parte, lo propongo a tizio, poi lo dimentico, poi lo ritrovo dopo diverso tempo, ecc. Per me le cose esistono nel momento in cui sono scritte, compresa questa intervista: me la sono segnata, quindi sarebbe di sicuro avvenuta, altrimenti non credo. Quindi, tra le varie cose, è arrivata anche la scrittura per i fumetti. Non arriva subito, primo perché non è facile, poi bisogna diventare bravi, entrare nel giro, assorbire da quelli bravi sul serio tutto ciò che puoi imparare, frequentare le fiere, ecc. Dopo qualche porta in faccia, ho cominciato scrivendo redazionali per una rivista degli anni Novanta, horror, che vide una rinascita intorno al 2010. Chiesi a Paolo D’Orazio, proposi dei progetti, ma mi rispose che non avevano spazio. Se non c’è spazio per i soggetti, gli dissi, mi rendo disponibile per fare redazionali. Nessuno li voleva fare perché su una rivista di fumetti, nessuno vuole fare i redazionali, invece poi vennero fuori cose carine. Proprio a quel punto conobbi Gianmarco Fumasoli. Siamo diventati amici. Lui è uno molto bravo, con una visione ben precisa delle cose. Ha messo su la Bugs, allora sono salito quasi automaticamente a bordo. Quantomeno fu subito chiaro che avessi la possibilità di fare delle proposte. Che poi è quello che uno cerca, di base: una possibilità. Quindi abbiamo iniziato con Mostri, poi le storie brevi, poi è arrivato Gangster… Piano piano Gianmarco si è messo in testa di fare Samuel. “Ma te sei pazzo!”, gli dicevano tutti. Io gli dissi “Se va in edicola, io ci sto”. Abbiamo iniziato a ragionare sulla mia storia di Samuel Stern, con tante difficoltà per me.
Difficoltà oggettive, immagino, non perché fosse in dubbio la tua partecipazione…
Intanto perché è la prima storia che scrivo a essere così lunga, sono 96 tavole. Con Gangster uscivano circa dodici… sedici tavole. Scrivere una storia era molto impegnativo, poi su un personaggio che non è stato creato da me. Samuel è un personaggio creato da Gianmarco con Massimiliano Filadoro. È vero che poi loro ti danno “la Bibbia” con tutte le indicazioni che devi studiarti, però anche quello è un percorso di studio lungo, è stato come preparare un esame. Mettici che Samuel è un personaggio che non conosce ancora nessuno. Se dovessi scrivere una storia di Dylan Dog, ovviamente il personaggio lo conosco, come tutti ormai. Non è tanto l’essere bravo a scrivere storie, bisogna stare anche nello spirito del personaggio.
Poi Samuel Stern è già così ben delineato, sin dal primo numero…
Ed è pure bello complesso, un esorcista psicologo. Religione e psicanalisi, ovviamente, essendo laureato in Storia delle religioni, sono argomenti che mi fanno impazzire. Poi c’è un discorso che, anche se il titolo del fumetto è Samuel Stern – è una cosa conveniente avere come identificativo il character title – in realtà i protagonisti sono due. C’è anche Padre Duncan, loro decisamente lavorano insieme. Duncan non è una spalla accessoria come può essere, ad esempio, Groucho. Nello scegliere la storia ci sono stati vari tentativi, alcuni scartati, altri che stiamo rielaborando. Il secondo girone è quello che ci è piaciuto di più. Non vai a scrivere, come prima storia, il passato di un personaggio che non conosci o che non è tuo. Ecco allora che per me i protagonisti di questa storia sono Madame e i personaggi che abitano il Secondo girone. Samuel è la chiave che apre la porta, potremmo definirlo una sorta di Caronte, per restare in tema dantesco.
Parliamo di inferno e paradossalmente è più Padre Duncan quello stupito…
Sì, ma anche Padre Duncan è un uomo di mondo, con un suo passato che poi si scoprirà piano piano. Poi anche lui è un esorcista, quindi di cose ne ha viste… Questo albo di Samuel Stern era stato anticipato dall’Agenzia, il numero 7. Piano piano siamo arrivati a situazioni in cui capiamo che la possessione demoniaca, in Samuel, può avere tante sfumature. Questa è la prima volta che ci spingiamo ai confini del fantasy. Ci sono elementi, nonostante la base sia realistica, che non sono storicamente attendibili, come la donna coperta di piume…
Ma se uno pone come presupposto l’esistenza di coloro che noi chiamiamo freak, su quell’assunto di base possiamo costruire tutto quello che vuoi…
Laddove tu stendi bene la base, anche se deragli un pochino, per il lettore non stai sbagliando, stai aggiungendo pepe.
Quanto tempo c’è voluto?
Ci vuole un anno: da quando lo sai a quando poi realizzi la storia, passa un anno. Mi ricordo che era maggio dello scorso anno, ero al Festival di Cannes, ero di fronte ad Antonio Banderas per intervistarlo e l’ho lasciato là per rispondere alla telefonata di Filadoro che mi diceva che avrei sceneggiato Samuel Stern. Disse “OK, la storia si fa, comincia a lavorarci”. Ho mollato Banderas per vedere realizzato il sogno di una vita.
Con Stefano Manieri, che ha realizzato i disegni, come ti sei trovato?
Devo dire benissimo. Ho scritto il soggetto pensando a Corrado Roi, ben sapendo che non avrei potuto averlo, ma avevo bisogno per scrivere di un riferimento visivo. Quindi ho pensato a uno che avesse uno stile romantico, ma che al contempo potesse essere grottesco e avere determinate suggestioni. Quando Gianmarco mi disse che aveva scelto Stefano, mi mostrò alcuni disegni. Devo dire che è un ragazzo molto bravo, questa è una delle storie, finora, secondo me disegnata meglio. A parte il gusto personale, lui si sposa bene con ciò che io volevo dire. Sa rendere molto l’espressività dei personaggi e questo per uno sceneggiatore è fondamentale. Poi io scrivo sceneggiature che non sono troppo dettagliate, ritengo che anche il disegnatore debba avere il suo spazio.
Lui ti ha chiesto approvazione mentre disegnava?
Per velocità, lui consegnava a Gianmarco, io intervenivo solo quando vedevo qualcosa che, da un punto di vista narrativo, proprio non funzionava. Per esempio, a un certo punto Samuel e Duncan bevono whisky. Non per fare product placement, ma per dare identità ai personaggi e al luogo. Lui, non essendo esperto di whisky, ha disegnato una bottiglia che conosce, il Jack Daniel’s, che però è americano. E allora lì ho detto di no, che due scozzesi non berrebbero mai Jack Daniel’s in un pub. Allora lui, senza che dicessi niente, ha disegnato una delle mie marche preferite. Di correzioni ne abbiamo fatte davvero molto poche, ha funzionato tutto benissimo, siamo andati abbastanza spediti. A lui piaceva l’idea che io mandassi sceneggiature essenziali, senza particolari indicazioni di come dovesse inquadrare i personaggi. Il disegnatore deve avere lo spazio per fare le sue cose spontaneamente.
Tutti i tuoi studi si ritrovano in questo numero di Samuel Stern, in particolare l’antropologia culturale: nello scriverlo ti sei messo a nudo. Tu che pubblicamente sei quello che sempre scherza e gioca…
Non vedo perché dovrei mettermi a nudo nella vita pubblica quando ho la scrittura per farlo… Ma si può essere scherzosi e profondi allo stesso tempo. Chi scrive racconta se stesso attraverso le vite degli altri.
Ci sono tutta una serie di religioni che fai avvicendare nell’albo: dal dio con testa di cane, alla mitologia romana, alle altre religioni politeiste… Lo stesso riferimento al Secondo girone, è letterario e mitopoietico, ma sempre di stampo cristiano…
I riferimenti ci sono, ma anche in questo caso mi sono fatto guidare dalla storia, dal suono e dal suo ritmo. È finito tutto lì dentro perché servivano. Sono tutte cose che ho con me e che vengono fuori seguendo il flusso della storia. Sono sempre citazioni funzionali. Mi sono chiesto “Come suona il nome del locale?”. Il secondo girone non è quello dei lussuriosi, nel canto Quinto, Dante parla di secondo cerchio. I gironi sono sottocategorie di un altro cerchio. Però “secondo cerchio” sembrava più qualcosa che indicasse la geometria. Il suono della storia è Secondo girone, che in parte è scorretto, però funziona. Poi mi sono chiesto “Chi possono venerare questi?”. Un dio cinocefalo, a suo modo freak… oppure mi è venuto in mente Santa Sangre di Jodorowsky… sempre suggestioni che tornavano perché mi servivano per raccontare quella storia.
Dalla religione si può poi attingere a tutto e anche di più… Il tema del doppio, religiosamente, psicologicamente, ricorre nella narrazione di tutti e nella tua in particolare, inteso in tanti modi: ci sono le gemelle siamesi, oltre al doppio inteso come spalla.
Bene e male sono due concetti manichei. Per me invece sono fusi, soprattutto nella visione di Samuel, sono fusi e inseparabili. Pensa che le due gemelle inizialmente avrebbero dovuto chiamarsi Yin e Yang. Poi il tema del doppio, anche per un discorso religioso, ricorda le luci e le ombre. Stefano ha questo stile molto crepuscolare che mi ha consentito di esaltare questo aspetto ancora di più.
Poi c’è una tua ennesima citazione su Giano, che è una delle tante fissazioni che condividiamo: sta nei tuoi scritti, gli hai dedicato un racconto, che è il mio preferito nella tua raccolta Colpo di scena (edita in Italia da MdS Editore, ndr), ora qui ci metti una citazione esplicita…
Giano Bifronte è un concetto che torna anche in versione moderna in tanti lavori artistici firmati da molti, è normale che, se penso al bene e al male, mi viene in mente il dio bifronte. Quando scrivi una storia, a un certo punto non è più tua, è come dare al lettore la possibilità di guardare in un’altra direzione. Come se ci fosse un altro fronte. Poi Giano è passato e futuro e, senza fare spoiler, l’albo si chiude con un’idea di futuro che non sappiamo dove porterà.
Samuel Stern non si è fermato in tempo di Covid…
Fortunatamente no, ma non posso dire che non siamo stati influenzati. Ci chiediamo se i personaggi debbano indossare la mascherina oppure no, certo darebbe una veridicità alla storia, ma la fisserebbe in un tempo ben preciso. Cosa che con i fumetti non accade.
Egoisticamente spero che tu scriva altre storie di Samuel Stern: finora, senza nulla togliere agli altri autori, il tuo finale lo considero il migliore.
Sto già lavorando su altre storie, ma nel fumetto bisogna avere pazienza: per sua stessa natura, non si riesce a realizzare più di una storia l’anno. Poi io non faccio solo questo, avendo anche altri lavori di scrittura, tutto diventa più lungo.
Dal punto di vista dell’antropologo, il concetto di Ombra, che questi demoni nascano da qualcosa di umano e perfettamente tangibile, lo trovo molto coraggioso e maturo. Mentre, tirando in ballo sempre Dylan Dog, lui è l’Indagatore dell’Incubo e Samuel lo è dell’Ombra. L’ombra nasce dai nostri dolori, disagi, dispiaceri. Ti fa sentire meno al sicuro, è una cosa che può succedere a tutti noi, non è lontana come un licantropo o un vampiro…
Questo è un aspetto che rappresenta fortemente Samuel. Dylan, quando è partito, citava Romero, poi è passato al cannibalismo, a un sacco di cose anche reali, ma lontane. Quello che è stato studiato con Samuel era proprio allo scopo di non creare questa spersonalizzazione, ma di dare angoscia perché è pur sempre un horror. Nel fumetto si abbraccia l’idea della possessione moderna, che nasce da qualcosa che è già in noi. Il concetto è che la generiamo noi, non è un demone esterno che ci sceglie casualmente. Se poi ci pensi, noi siamo in qualche modo posseduti dal nostro profilo social: non stiamo mai fermi, pensiamo all’interazione e siamo ipersollecitati. Samuel non è ateo, ma è una figura di confine, non potrebbe mai non credere in niente, essendo un esorcista. C’è una scena nell’albo, che è una delle mie preferite, in cui Duncan invita Samuel a pregare e lui si trova quasi in imbarazzo. C’è un motivo, che ancora non posso spiegare, a livello sentimentale ed emozionale.
Tu hai un approccio alla sessualità veramente lucido, libero, completamente scevro dai pregiudizi.
Mi fa piacere moltissimo che tu dica questo perché qui, nel fumetto, è stato difficile. Intanto io sono il direttore responsabile della testata, quindi devo stare attento a non offendere il pubblico pudore, tra le varie cose. Quando dirigi una testata giornalistica, devi stare attento a una serie di cose. Mi hanno detto “Ti sei andato a infilare in un bordello”– e il Girone è proprio questo. Temevo che non venisse compreso l’intreccio principale, il personaggio che si rivolge a Samuel Stern. Questi due sono fidanzati, ma lei, oltre a essere una freak, è anche una prostituta. Eppure vivono il rapporto in maniera rilassata. Ma per lui, quello è semplicemente il lavoro di lei. Questo per me era naturale, ma ciò che per me è naturale, temo che all’esterno risulti innaturale.
Nella realtà, invece, molte prostitute, escort, pornostar sono fidanzate…
Be’, non è che io non mi sia documentato. Ma la mentalità è chiusa. Nel 2020 Chiara Ferragni posta una sua foto in costume da bagno e sotto le commentano “Ma tuo marito che dice?”. E che deve dire? Sarà pure contento. Quello che penso è che esista la sessualità ed esistano i sentimenti. Le due cose possono assumere forme e combinazioni tra le più disparate. Quella è la mia visione, sono stato fedele alla mia visione, sono contento che sia arrivata.
Ma la sessualità, anche subita perché la sta vivendo l’altro, è un tema in te ricorrente. Torno a Janus, il tuo racconto ispirato a Giano, in cui era fortissima…
È chiaro. C’è anche Inseparabili di Cronenberg e Indivisibili di De Angelis. Un’idea che ho mantenuto il più possibile integra, ma al contempo sottesa. Sono situazioni che pongono il problema: che succede se due sorelle siamesi vivono la realtà che una si vuole prostituire e l’altra no? Il resto non lo possiamo scrivere, altrimenti roviniamo l’albo a chi legge.
E quindi la domanda finale è anche banalissima: quali sono i demoni di Andrea Guglielmino?
Eh, bella domanda. Non sono io che posso dirlo, altrimenti li avrei già sconfitti e non esisterebbero più. Volendo seguire la linea della serie, il demone sta in te, ma tu non te ne accorgi. Nel momento in cui lo vedi, se è piccolo, puoi eliminarlo e sconfiggerlo. Altrimenti, se è grande, ci vuole l’esorcista. Poi, senza fare spoiler sul finale, persino un demone può non essere cattivo: alla fine vuole solo sopravvivere, anche lui come tutti noi. Quindi io non lo so quale demone mi anima. Ci vorrebbe Samuel che venisse a scovarmelo.
Critica e saggista cinematografica, scrittrice e ufficio stampa, è con Alessandro De Simone la fondatrice di The Cinema Show e ne è il direttore editoriale. Ha pubblicato, tra gli altri, su 35mm.it, Hotdog, Everyeye, IHMagazine, Staynerd e Movieplayer.
È orgogliosamente membro del collettivo Eiga di Bakemono Lab.