John Landis compie 70 anni, 3 agosto 2020. Il suo ultimo film risale a quando ne aveva sessanta. Burke & Hare, commedia molto nera ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto in Scozia nell’800. Andy Serkis, Simon Pegg e Isla Fisher possono quindi fregiarsi di un record che non avrebbero mai voluto detenere: essere gli ultimi ad avere lavorato con John Landis.
Perché uno dei più grandi cineasti degli ultimi quarant’anni è costretto nel giorno del suo compleanno a ricordare la sua carriera, invece che continuarla? Le ragioni sono molte. Una in particolare, tragica, legata alla morte di Vic Morrow sul set dell’episodio di Ai confini della realtà diretto dal regista di Chicago. Sono passati 38 anni, ma Hollywood non perdona. Landis aveva delle responsabilità pesanti, a partire dall’avere scritturato le due bambine morte con Morrow nella tragedia senza i permessi necessari, e commettendo una serie di leggerezze sul set, nella preparazione e realizzazione della scena, che portarono poi a una concatenazione di tragiche fatalità.
Tre morti su un set. Landis continuò a lavorare dopo il processo, in cui venne assolto dall’accusa di omicidio preterintenzionale, ma fu un lento, doloroso declino. Come disse Peter Bogdanovich a proposito della morte di Dorothy Stratten “la mia vita e la mia carriera finirono quel giorno”.
Una carriera, quella di John Landis, fino a quel momento trionfale
Ma costellata già di tragedie. La più famosa, la morte di John Belushi, amico fraterno, attore geniale, con cui aveva girato Animal House prima e The Blues Brothers poi. Overdose a 33 anni, il rito di passaggio tra il successo e l’eternità. Non divenne immortale Doug Kenney, fondatore di National Lampoon Magazine e autore del soggetto di Animal House, morto due anni prima di Belushi. Cadde in un burrone alle Hawaii, se accidentalmente a causa degli abusi di alcool e stupefacenti, o di proposito guidato dalla sua perenne depressione, non lo sapremo mai.
Basterebbero questi eventi a segnare una vita, che però, si sa, ha un senso dell’umorismo tutto suo. Nel dicembre del 2017, il figlio di Landis, Max, sceneggiatore e regista non particolarmente talentuoso, fu tra i primi a essere travolto dallo tsunami Weinstein, accusato di molestie nel corso dei due anni successivi da una dozzina di donne, compresa la sua ex fidanzata.
Per queste ragioni non vedremo mai un nuovo film di John Landis
E naturalmente è un peccato, perché a dispetto di quello che possa sembrare, non ha smesso di farne di belli e intelligenti dopo quel maledetto giorno del 1982.
Tra il 1985 e il 1988 infilò, uno dietro l’altro, Tutto in una notte, Spie come noi, I tre amigos e Il principe cerca moglie. Il primo forse uno dei suoi migliori in assoluto, commedia romantica gialla che sa tanto di Sciarada e che mette alla berlina la borghesia WASP suburbana, con Jeff Goldblum e Michelle Pfeiffer coppia memorabile, atmosfere, tempi e sottotesto miscelati con un equilibrio perfetto. Un contro altare del Fuori Orario di Scorsese, opera pervasa dallo stesso disagio sociale, ma dal taglio molto più esistenzialista.
Il secondo un cult (di cui uscirà un sequel il 25 dicembre di quest’anno, il giorno dopo la santa ricorrenza di Una poltrona per due su Italia 1). Quelli in mezzo due film comici di livello superiore, con gag degne dei fratelli Marx.
E subito dopo, nel 1991, diede a Sylvester Stallone l’occasione di far ridere intenzionalmente, in quel gioiello incompreso di Oscar – Un fidanzato per due figlie, pochade frenetica e sovversiva. D’altronde, Landis è stato, in vita e in carriera, un anarchico iconoclasta, come tutti gli artisti le cui opere vengono celebrate negli anni e nei secoli. Come tale, lui e solo lui poteva arrogarsi il diritto di demolirsi ed espiare i suoi peccati. Lo ha fatto con opere suicide che nascondono l’essenza stessa del Landis pensiero. The Stupids è un manifesto politico e sociale devastante, un atto d’accusa nei confronti del popolo americano che oggi è di drammatica attualità.
Susan’s Plan, in Italia uscito come Delitto imperfetto in una sin troppo esplicita finestra di fine agosto, è un’altra celebrazione dell’ipocrita classe media statunitense. John Landis ha sempre detto che il suo paese è pieno di idioti, che fossero facoltosi studenti membri di confraternite nei college della Ivy League o anziani magnati della finanza senza scrupoli. O, naturalmente, nazisti dell’Illinois, sua terra natale, quelli proprio non li ha mai sopportati.
Ci hanno messo un po’ i suoi compatrioti a capire che John da Chicago gli ha dato degli imbecilli, a ragione, per trent’anni. E adesso sono passati all’incasso, lasciando Landis in compagnia solo dei suoi ricordi e dei suoi fantasmi.
Ma che non si illudano: continuano a essere degli idioti. Lo dimostrano ampiamente ogni giorno.