Mulan debutterà il 4 settembre direttamente su Disney+, negli Stati Uniti, in Canada e in Nuova Zelanda e in altri territori che eventualmente si potranno aggiungere se non sarà possibile la distribuzione theatrical. Uscirà day & date anche nelle sale, pochissime presumibilmente, che saranno aperte e che vorranno programmare il remake live action del classico Disney.
La notizia è già vecchia dopo due giorni, così come le centinaia di considerazioni, speculazioni, riflessioni in proposito, con i suicidi di massa sull’altare delle sale che non riapriranno mai più e gli analisti di mercato, già virologi e nel mentre anche artificieri, che sulle pagine della più importante rivista economico-finanziaria del mondo, nota come Facebook, hanno detto la loro sulla questione. La conclusione è che alla Disney sono tutti degli incompetenti, perché come pensano che qualcuno spenda 30 dollari per vedersi Mulan in televisione?
In caso lo si può chiedere ai loro omologhi della Universal, che hanno venduto a 16 dollari Trolls: World Tour incassando 107 milioni di dollari solo sul VOD americano, e intascandosene circa 75 direttamente, più o meno la stessa cifra ottenuta con la distribuzione in sala del primo episodio.
Nel caso di Mulan la performance dovrebbe essere ancora più ricca. Snoccioliamo qualche numero. Prima di tutto, Disney ha annunciato contestualmente che la piattaforma di streaming ha superato i 60 milioni di abbonati in tutto il mondo. Prendiamo in considerazione il solo mercato statunitense. All’inizio di maggio, gli iscritti erano 24,5 milioni. Siamo pessimisti e diciamo che il 4 settembre, per fare cifra tonda, Mulan sarà distribuito nel mondo su 30 milioni di abbonamenti.
Un terzo di loro acquisterà Mulan, che a quel punto resterà nella library di questi abbonati. Sono 300 milioni di dollari di introiti diretti. Il budget di Mulan è di 200 milioni di dollari, al netto dei costi di P&A, ovvero del lancio, che era iniziato in tutto il mondo poco prima della pandemia. Ipotizziamo 50 milioni di dollari tra prima e dopo. Quei 300 di cui sopra, che come detto sono puliti, coprono abbondantemente le spese e c’è anche una mancia per il ragazzo.
Mulan – Disney+: perché dovrei spendere quei 30 dollari?
Il prezzo medio del biglietto negli Stati Uniti, aggiornato al 2019, è di 9,16 dollari. Mulan è un prodotto per famiglie, con un target soprattutto femminile e dedicato in particolare a un pubblico di preadolescenti. In ogni caso, senza esagerare, la fascia di età va dai 10 ai 40. Calcolo facile, dato che il film è PG13 negli Stati Uniti, ovvero fino ai 13 anni accompagnati da un genitore.
Una mamma porta al cinema la figlia e le sue due amichette. Presumibilmente di sabato o domenica, quindi fascia di prezzo alta per il biglietto, ma ipotizziamo 10 dollari a cranio. Fanno 40$. Due popcorn large: 16$. Quattro soft drink medi (che troppo zucchero fa male): 24$. Non consideriamo il parcheggio, perché il cinema è in un centro commerciale e con il biglietto del cinema è gratuito.
Morale della favola: 80 fruscianti dollaroni per due ore di entertainment senza esagerare in bagordi.
30 dollari: inviti tutte le compagne di scuola e lo metti in loop
Affermare che l’operazione messa su da Disney sia destinata al fallimento è la romantica speranza di chi non sopporta l’idea che il cinema possa essere rinchiuso in un salotto. Cosa che comunque non accadrà. Proprio perché, anche a fronte di un incasso del 100% grazie alla piattaforma proprietaria, l’operazione è legata al momento drammatico che vivono gli Stati Uniti e al fatto che non si poteva ritardare ulteriormente l’uscita del film sul mercato cinese, target primario per questo film, perché Disney deve coprire in fretta 4 miliardi di dollari di buco derivanti dalla chiusura dei parchi a tema e dallo stop delle crociere, oltre che dalle perdite del comparto cinematografico.
Non si può certo chiedere a chi già paga un abbonamento un ulteriore sovrapprezzo mensile per poter avere in anteprima film che dopo sei mesi arriverebbe nell’offerta. Si può fare una volta, questa era quella buona per un esperimento che rispecchia il presente che stiamo vivendo. E per capire se, in caso di nuovi drammatici scenari futuri, sia replicabile.
Il futuro: è tutto da scrivere. E prevede una serie di variabili complesse che si dovranno concatenare per capire cosa ne sarà della distribuzione cinematografica, quale sarà la forma di fruizione, e soprattutto quando.
Il Covid-19 negli Stati Uniti non si arresta
Ci vorranno sei mesi almeno perché torni una parvenza di normalità, ed è un’ipotesi molto ottimistica. E nel resto del mondo, pur con tutti gli sforzi fatti, i focolai non permettono di allentare le misure di sicurezza. Il che vuol dire che ancora per un po’ i cinema dovranno operare a scartamento ridotto.
Si stanno sviluppando molti vaccini in giro per il mondo, ma per quanto veloci possano andare, da qui a Natale la percentuale di popolazione vaccinata sarà ancora troppo bassa per poter pensare di rimettere le cose in sicurezza. Sempre che il vaccino sia pronto per il 2020, non affatto scontata.
L’accordo AMC-Universal è nell’ottica di uno scenario intermedio, e permette all’esercente di avere le opere in anteprima in sala e al distributore di integrare gli incassi, con una fetta anche per i cinema. E già questo sarebbe un buon futuro.
Il futuro ideale sarebbe tornare alla normalità, con alcune lezioni imparate al meglio, come per esempio saper scegliere quali film distribuire direttamente in SVOD e quali con una doppia opzione sala-VOD, modello che per esempio nel Regno Unito funziona assai bene già da qualche anno.
Infine, c’è l’ultimo scenario. E in quel caso, non importa che sia Mulan, Black Widow o Wonder Woman. Perché ci dovremo preoccupare che ancora possa esistere un’industria cinematografica.