Prima di cominciare, bisogna che ammetta di essere una fan di Michael Jackson da venticinque anni. Esattamente dalla prima volta che vidi il videoclip di Bad, cortometraggio diretto nientemeno che da Martin Scorsese. Una delle mie più care amiche (lo è ancora, dopo tutto questo tempo) aveva organizzato un piccolo rinfresco a casa sua. Avevamo dodici anni, e la Rai aveva annunciato in pompa magna la messa in onda di uno speciale con videoclip in anteprima per l’uscita del nuovo album di Michael Jackson. Eravamo lì, ragazzini che scioccamente scherzavano su questo freak che era diventato bianco. Poi iniziò il corto. Fu una folgorazione. E ancora oggi quella sensazione, quando sento una canzone di MJ, non mi ha mai abbandonata.
Il film di Spike Lee inizia mettendo subito le cose in chiaro: molta gente viene distratta da tutto il ciarpame mediatico intorno a Jacko. Distratti dalla sua arte e da quello che rappresenta, anche dopo la sua dipartita. Ebbene, è come guardare il soffitto della Cappella Sistina e indicare che c’è una ragnatela in un angolo.
Ecco, faccio mia questa considerazione: se siete così stolti da soffermarvi sulla ragnatela, non vi meritate la Cappella Sistina. Se invece siete aperti all’arte, potete continuare a leggere.
Gli “Spike Lee Joint” sono tutti legati a una certa celebrazione della blackness. A Lee interessa, tra le altre cose, raccontare le storie di afroamericani di successo. E Michael Jackson è stato l’afroamericano di maggior successo della sua epoca. Partiamo da questo, perché troppo spesso ci siamo lasciati, anche noi fan, distrarre dal suo diventare bianco in superficie. Michael Jackson esce dopo Thriller, l’album che ha venduto di più in assoluto nella storia, con un nuovo lavoro. E lo fa come solo lui sa fare: puntando dritto al sole. E sbattendo in faccia al mondo la sua nuova condizione: per un qualche motivo che davvero forse non conosceremo mai, è bianco. Ma un libro non si giudica dalla sua copertina, e nemmeno un disco. Ecco che Bad è il disco più black dell’intera carriera di Jackson.
Il documentario di Lee scorre insieme alla track list: dopo le celebrazioni di rito, le interviste al grande produttore Quincy Jones, all’ingegnere, ai collaboratori, a Martin Scorsese, si scorrono uno a uno i brani che compongono Bad, in una biografia che non celebra un uomo, ma un album, una opera d’arte, in tutte le sue sfaccettature. È una dichiarazione d’amore senza poesia, è solida come solo l’amore duraturo sa essere. È un film che celebra il talento di Jackson e di chi ha lavorato con lui, ed è in tutto un film di Spike Lee. Lontanissimo da This Is It, non è un prodotto per i fan (anche se è inevitabile cantare e anche ballare insieme a Michael, come è inevitabile piangere quando si tocca il tema della sua morte): è il racconto di come è nato un disco con migliaia di citazioni, un contenitore di cultura, di ispirazioni, di sperimentazioni, un prodotto che ha unito musicisti dall’estremo talento e giovani in cui Jackson e Jones hanno creduto, uno show che ha girato il mondo per più di un anno e mezzo. E se non ha eguagliato le vendite di Thriller, è solo perché si è fatto veicolo di altre copie vendute anche del disco precedente.
Per quanto riguarda Jackson, ne esce fuori ancora una volta la storia di un uomo che è forse unico nella storia, e che nessuno di noi potrà mai capire fino in fondo. Lee pone allo spettatore le sue considerazioni, buttandole quasi lì per caso, non argomentandole con la sua consueta sicurezza. Ma forse proprio così ci aiuta ad avvicinarci di più a questo immenso artistica dall’etica del lavoro e della vita immense. Lee mostra un Michael finalmente maturo, che non subisce la musica, ma la sceglie come sua compagna di vita, che scrive, disegna i costumi, spiega le coreografie ai ballerini. E talvolta spiega anche come migliorare un accordo ai musicisti. Tanto senso dello spettacolo non è mai stato concentrato in una sola persona.
Michael è in ogni scena, anche quando non c’è il suo carisma è presente.
E quando salgono i cori di Mar in the Mirror, l’emozione è ormai alle stelle. Grazie Michael. Se mai indietreggerò, sarà a passo di Moonwalking.
Federica Aliano