Stephen Frears, il regista britannico noto per My Beautiful Laundrette e tanti altri successi del cinema inglese degli ultimi vent’anni, è stato protagonista di un bell’incontro con il pubblico dell’American Pavillon durante questa edizione 2004 del Festival di Cannes. Lo abbiamo incontrato per parlare del suo cinema e non solo
Lei ha lavorato tanto con scrittori: che rapporto si instaura tra regista e scrittore?
Stephen Frears: Sono sempre stato molto sincero nel momento della creazione, con tutti i miei collaboratori, e lo stesso vale per gli sceneggiatori e per le storie che mi presentano. Quando Haneif mi fece leggere lo script di My Beautiful Laundrette gli chiesi di spiegarmi tutto quello che c’era nel film che doveva diventare, perché ogni volta voglio avere la certezza di essere in grado portare sullo schermo la stessa qualità che leggo sulla carta. In ogni caso devi capire anche come raccontare la storia, My Beautiful Laundrette poteva essere anche diventare come Il padrino Parte Seconda, raccontando l’arrivo della comunità pakistana in Inghilterra come se arrivasse a Ellis Island. L’importante era dare ai protagonisti la giusta identità, per questo ho voluto sapere tutto quello che c’era da sapere.
La stessa cosa è successa per Piccoli affari sporchi.
Stephen Frears: Credo di sì, prima di tutto devi leggere lo script e credere a ciò che stai leggendo. In Piccoli affari sporchi non succedeva niente che io trovassi inverosimile e in questi casi devi anche avere fiducia nella persona che ti racconta la storia e per Piccoli affari sporchi è stato assolutamente così.
Credere e capire il racconto la aiuta anche per la scelta del cast…
Stephen Frears: Ho sempre delle persone in mentre leggo lo script, quello che devi cercare di fare è creare un universo su diversi piani, morale, umano, fisico e avere delle opinioni che vadano bene per questo mondo che stai creando e gli attori fanno parte di questo mondo e devono esprimerlo, per me e per chi vede il film.
Cosa succede quando però gli attori che hai scelto non funzionano per la parte, non riescono a fare questo tipo di lavoro o magari non riescono a lavorare bene insieme?
Stephen Frears: È orribile, l’unica cosa che vorresti fare è spararti. È un po’ come avere di fronte Tony Blair, cerchi di tirare fuori il meglio dalle persone, ma è impossibile.
Prick up your ears sembra essere uno dei film più difficili a cui ha lavorato…
Stephen Frears: Perché è una storia terribile, agghiacciante, è quello che pensavo anche quando lo giravo. Bisognava difendere l’indifendibile, questo personaggio davvero sgradevole, ma il film in realtà venne bene, anche perché ebbi l’accortezza di nascondere al pubblico molte delle informazioni in mio possesso. Ma il film nel complesso era buono, la sceneggiatura era divertente e Alfred Molina e Gary Oldman sono assolutamente fantastici.
Come sceglie le storie per i suoi film?
Stephen Frears: In realtà non le scelgo, credo sia successo qualcosa del genere solo per Prick Up Your Ears, dato che conoscevo lo scrittore e la storia mi aveva particolarmente colpito, quindi proposi di farne un film. Ma in generale non vado in cerca delle storie, mi arrivano dei copioni e scelgo quello che c’è da fare. Un atteggiamento passivo, se vogliamo, che credo derivi dall’esperienza alla BBC, dove arrivavano copioni in quantità enorme, ci venivano proposti e ognuno di noi sceglieva, se era fortunato, quelli di cui era realmente convinto.
Lei insegna anche cinema. È ottimista per il futuro di questa magnifica arte?
Stephen Frears: Sono ottimista quando guardo i miei figli, perché spero per loro il meglio, ma quando guardo il mondo sono enormemente pessimista. Per quanto riguarda l’insegnare il cinema, è una cosa complicata, perché sono convinto in realtà che il cinema si possa imparare solo facendolo.