Spazio al nuovo. Liberarsi dalle zavorre che, incatenando alla tradizione, arrestano il progresso. E messaggi, un’infinità di messaggi contenuti in questo Episodio VIII, dicitura che è caduta via dal titolo di Star Wars: Gli ultimi Jedi. Dall’ecologia all’animalismo (con una venatura di veganesimo?), all’uguaglianza, alla Forza che non è una questione di sangue o un diritto di nascita. Tanta creta da plasmare, proveniente per giunta da terreni diversi. Tanto racconto, forse anche troppo, da gestire per Rian Johnson.
Autore giovane, per lo meno per quantità di lungometraggi girati. Il suo esordio, dopo tre corti, fu folgorante: quel Brick che era un teen noir dal sapore assolutamente unico, con talenti in erba che sarebbero sbocciati poi. Poi pochi lavori e tre episodi di Breaking Bad. Esattamente come si poteva pensare che Rian potesse prendere il posto di J.J. Abrams? Naturale che la regia risulti ridondante e pleonastica, che la foga di un fan aggiunga e aggiunga, in preda al delirio della passione. Ma ciò dovrebbe essere proprio ciò che un Padawan non dovrebbe fare. L’essenza delle cose: quella perseguire dovrebbe.
La lezione minimalista si perde, l’ironia a cui si cerca di tornare (nella trilogia originaria non ci si prendeva mai sul serio) è ben lontana da quello humor naive che era proprio di George Lucas. Non bastano ferri da stiro e occhioni di nuovi animaletti. Anzi, forse lo zampino Disney, in cerca di nuovi prodotti da merchandising, inizia a infastidire anche chi scrive, che pure in Episodio VII aveva visto un grande ritorno. Ma l’essenza di Star Wars stava in scene epiche che di narrazione avevano poco, quello script diluito per cui L’Impero colpisce ancora era il migliore e lo resta, quelle scene de Il ritorno dello Jedi come il cabaret nella tana di Jabba o l’attesa del pasto del Sarlacc. Non tutti sono in grado di gestire ciò che garantisce un alto budget a disposizione.
Eppure non ci sentiamo di bocciare totalmente questo Gli ultimi Jedi. Il messaggio è forte e chiaro: lasciar andare il passato, liberarsi delle catene di ricordi e tradizioni, uscire dalla spirale del dolore, di genitori che “Ti hanno gettato via come immondizia. Per loro non sei niente”. Perché lo sappiamo, dal letame nascono i fiori, e un Jedi alberga nel più inaspettato degli animi, un Padawan può spuntare dal nulla. La resistenza è debole, colpita, sottodimensionata. Ma forte, unita come il Lato Oscuro non lo sarà mai.
Certo, la mancanza che si avverte è profonda e gravissima. Manca la Canaglia. Han Solo era Star Wars. A nulla vale riempire la storia di decine di altri personaggi, che non hanno e non avranno il suo spessore. Oscar Isaac non è in grado di rimpiazzare un pezzo da novanta come Harrison Ford. E allora nemmeno ci prova. Come non si prova nemmeno a dare spessore a un cattivo da favoletta: Kylo Ren emblematicamente distrugge il suo “ridicolo” casco. E va bene che “Fare o non fare, non c’è provare”. Va bene che nessuno potrà mai essere Vader. Ma qui non sappiamo dove andrà a parare questo pasticcio pieno di decorazioni, con pochissima azione e nessuna epica. Se i Jedi sono gli ultimi, allora l’annuncio di una nuova trilogia prenderà presumibilmente tutta un’altra direzione. Quella della coralità e del politicamente corretto. Praticamente una commedia all’italiana contemporanea. Che la Forza sia con noi. Se i Jedi sono morti, lunga vita ai Jedi.
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