Ne Le idi di marzo Stephen Myers è la punta di diamante della campagna per le presidenziali del Governatore Mike Morris, è rampante, intelligente, ha le intuizioni migliori. Stephen Myers è uno che crede davvero in quello che fa, è corretto e non spinge il candidato solo perché è il suo lavoro. Stephen Myers è l’unico di cui il Governatore si fida davvero. Questo perché assistiamo alla vicenda delle elezioni del Governatore Morris dal punto di vista di Stephen Myers.
Stephen Myers si sovrastima.
È convinto di essere una persona migliore di quella che vedrebbe se si guardasse realmente dentro. Una volta caduto il castello di carte, il manager di campagna rivela – anche a se stesso – la sua vera faccia: un bieco calcolatore che pensa solo al proprio tornaconto, che non esita a voltare gabbana e che resta sempre in piedi letteralmente passando sopra ai cadaveri.
La sua lealtà ha un prezzo, e lui è una persona talmente piccola che per comprarlo non serve nemmeno del denaro. Basta una singola lusinga. Sentirsi importanti una volta fa perdere la testa. Ne vediamo ogni giorno di persone così, non solo in politica.
George Clooney firma con Le idi di marzo un’altra bella regia classica
Fatta di campi e controcampi, con inserti moderni con tagli d’inquadratura personalissimi, e si riserva, come già nel bellissimo Good Night and Good Luck, un ruolo da comprimario.
Come già accadde con David Strathairn, per il suo protagonista sceglie un attore dall’enorme carisma e dall’innegabile talento, ed era solo questione di tempo perché il fascinoso, sorridente, poliedrico e umanamente impegnato Ryan Gosling venisse “reclutato” da George. Mr. Clooney interpreta il candidato perfetto, quello che non sbaglia un colpo ed è illuminato quasi alla maniera della cultura europea.
Gli serve per pronunciare sul grande schermo tutto ciò che ha sempre dichiarato durante le interviste e per difendersi dalle sciocche accuse che gli sono state mosse nel corso degli anni (“Se un politico chiede ai più ricchi di pagare più tasse, subito viene accusato di socialismo”, è la frase più palese), mentre Gosling riempie la scena in ogni singola sequenza, con una recitazione pulita e scevra da qualsiasi virtuosismo, lavorando in sottrazione sulle espressioni facciali e i movimenti delle mani.
Il cast di comprimari è un bouquet di caratteristi uno meglio dell’altro: Evan Rachel Wood, Philip Seymour Hoffman e su tutti uno spaventoso Paul Giamatti, ciascuno con un proprio monologo. Perché questa incredibile storia – che solo incidentalmente parla di politica, in realtà è la presa di coscienza di un giovane uomo che per la prima volta si guarda davvero allo specchio e, nonostante quel che vede non gli piace, deve convivere con se stesso nel miglior modo possibile – è tratta da una piéce teatrale e si vede.
L’ufficio dove si prepara la campagna elettorale è ben diverso da quello che vedevamo in Taxi Driver.
Non ci sono telefoni che squillano all’impazzata, nessuno che urla o che si sovrappone a un altro, nessuno che interrompe mentre qualcuno parla. Forse poco realistico, ma sicuramente molto efficace per far passare il messaggio. E Gosling da un certo punto in poi non sorriderà più: sottili sfumature di un interprete incredibile.