Sono lontani gli anni Settanta, in cui disaster movie erano all’ordine del giorno. Opere alimentari, in cui gli sceneggiatori si spremevano per riuscire a mettere insieme una trama con un senso, legata a intrecci narrativi che coinvolgessero almeno cinque diversi gruppi di personaggi. Oggi, forse per celia, forse per mere ragioni derivate dal livello d’attenzione della moderna audience, non è piú possibile. Ne avrá sofferto molto il bravo Gareth Edwards che, dopo un piccolo ma geniale film come Monsters, si è confrontato con Godzilla, un mostro ben più imponente, ma con dei vincoli altrettanto pesanti.
Godzilla è uno dei blockbuster più interessanti degli ultimi anni
E sebbene bloccato da una scrittura sicuramente inferiore non tanto alle attese, quanto alle mere possibilità, la nuova vita del lucertolone più famoso del mondo apre a considerazioni che sembravano ormai defunte nel panorama delle majors. Tralasciando tutto ciò che è trama, c’è il grande schermo per quello, è interessante notare come questo giovane anglosassone abbia cercato di aggirare, con un’intelligenza tipicamente europea, tutti quei paletti che una multinazionale ha dovuto inevitabilmente porre.
Edwards non dimentica da dove è cinematograficamente giunto. Coraggiosamente parla di ecologia, società, progresso, storia e storiografia. Tanta roba per uno spettacolo larger than life, come vuole il cinema americano oggi, in cui le città vengono devastate da creature ancestrali che avrebbero tutto il diritto di arrabbiarsi a vedere il loro territorio usurpato da piccoli esseri arroganti e tendenzialmente poco intelligenti.
Volendo potremmo parlare del cast e di molte altre cose, ma se ne può fare a meno, non per demeriti, anzi, ma perché sorge il dubbio che L’inferno di cristallo e L’avventura del Poseidon oggi sarebbero opere da concorso nei grandi festival e oggetto d’analisi sociologica.