Arriva sempre il momento in cui, scorrendo la filmografia di un regista, viene spontaneo il desiderio di fare un bilancio della sua carriera. Di quella quarantennale di Steven Spielberg se ne sono fatti tanti, ma tale è il piacere di parlare di questo grande maestro, e non è un delitto definirlo così, che una volta di più non può certo fare male. Soprattutto in un’anno come quello appena trascorso in cui ha sorpreso pubblico e critica con due film apparentemente agli antipodi, in realtà molto simili tra loro come Tin Tin e War Horse.
Le avventure di Tin Tin – Il segreto dell’unicorno, pur con il suo incredibile apparato tecnologico fatto di animazione digitale, 3D e performing capture, è alla fine della fiera un film d’avventura vecchio stile, un Indiana Jones adolescente, molto simile soprattutto al Tempio Maledetto nelle sue iperboli circensi, oltre che un omaggio a un’arte meravigliosa come il fumetto.
Allo stesso modo War Horse, tratto dal romanzo di Michael Morpurgo e dalla piéce teatrale da questo derivata, è un’opera che nella sua classicità, figlia del cinema di John Ford, Howard Hawks e Darryl F. Zanuck (perché i grandi produttori di una volta erano artisti quanto i loro registi), fa parte di un cinema sempre proiettato verso il futuro.
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La lunga cavalcata di Joey negli anni della Grande Guerra è uno splendido pretesto per poter fare avanti e indietro nel cinema di Spielberg, godendone beatamente. Dai primi film in super 8, combat movies precursori di Salvate il soldato Ryan come Fighter Squad, a Firelight, quanto di più vicino ai talentuosi ragazzini di Super 8, omaggio di J.J. Abrams a Spielberg stesso e a quel desiderio irrefrenabile di raccontare per immagini che assale fin dalla tenera età.
Classe 1946, il regista di Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T. ha trasformato quest’impellenza in un lungo percorso di analisi e autoanalisi, durante il quale ha sviscerato i desideri e le paure dell’uomo, cercato il lato oscuro delle cose e sperato che vivere in un mondo di celluloide non lo facesse crescere. Ritrovandosi invece a essere un Peter Pan alla ricerca della perduta isola che non c’è.
Dal tir al War Horse
Il cinema di Spielberg è da sempre itinerante. Duel è un road movie psicologico che apre il vaso di Pandora della borghesia americana, apparentemente tranquilla ma ancora legata a una cultura di frontiera fatta di duelli e conquista del territorio. Sugarland Express è un’opera politica quasi fuori tempo massimo. A suo modo lo è anche Lo squalo. Ma l’elemento di congiunzione tra questi film, e tra quelli che seguiranno, è il continuo movimento dei suoi protagonisti, coinvolti in delle “quest” che sono prima di tutto un viaggio alla ricerca della consapevolezza di loro stessi.
I vettori di queste peregrinazioni sono ricorrenti e importanti nella poetica spielberghiana. Automobili, aerei (1941, Always e in modi diversi anche The Terminal, Prova a prendermi e L’impero del sole), moto, biciclette e cavalli. Come dimenticare l’inseguimento di I predatori dell’arca perduta, il finale di Indiana Jones e l’ultima crociata, il cavaliere russo che segna la fine della prigionia in Schindler’s List.
War Horse era inevitabile nella carriera di Spielberg
Joey rappresenta gran parte della sua poetica, dal desiderio costante di rendere omaggio ai grandi cineasti del passato alla necessità mai sopita di ricordare quanto l’essere umano possa essere allo stesso tempo distruttivo e meraviglioso. Joey e Albert sono Elliot ed E.T. Ma il magnifico purosangue è anche David di A.I. e il Viktor Navorski di The Terminal, figure bloccate in un luogo e in un tempo che non gli appartengono e da cui cercano disperatamente di scappare.
Mi chiamo Steven Spielberg e faccio film
Mantenere viva una memoria storica e cinematografica è una costante del cinema di Spielberg. Il cinema classico è il suo grande amore, è cresciuto con John Ford, Preston Sturgess, Howard Hawks. Nel corso della sua carriera ha lavorato con altri cultori dell’epoca d’oro di Hollywood, come lui però proiettati nel futuro del cinema. George Lucas, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, e in ultima battuta anche Peter Jackson. Tutti amanti di una forma del racconto cinematografico che, a dispetto di quello che hanno creato come tecnologia e innovazione, continua a essere quella più efficace.
Per War Horse non è stato creato un cavallo al computer.
Si sono provinati centinaia di animali scegliendone quindici che si sono dati il cambio di fronte la macchina da presa.
Joey nasce su una dolce, verde collina inglese e sin dal primo momento diventa l’amico per la vita di Albert, giovane figlio di contadini. La dura vita rurale dell’Inghilterra degli anni Dieci del secolo scorso è alleviata dalla gioia di passare le giornate insieme. Finché un giorno il padre di Albert non è costretto a vendere Joey all’esercito di Sua Maestà per pagare i debiti.
Joey va in guerra, Albert gli promette che lo andrà a cercare per riportarlo a casa. Nel mentre, l’animale attraversa tutto il conflitto passando di mano in mano, da uno schieramento all’altro, intrecciando la sua vita con quella di ufficiali, soldati semplici, di una dolce ragazzina e di suo nonno, fino a un finale a sorpresa, ma non troppo.
In War Horse c’è tutta l’ammirazione di Spielberg per John Ford, dal cui cinema attinge a piene mani declinando il suo film per eccellenza, Sentieri Selvaggi, come già aveva fatto con La guerra dei Mondi e Salvate il Soldato Ryan.
Un casting difficile
Quindici cavalli per interpretare Joey. Ma la cosa davvero complicata quando il protagonista assoluto di un film è un animale è trovare degli attori che non si sentano in competizione con la star. Spielberg si è affidato a professionisti eccellenti.
Il giovane Albert è il quasi esordiente Jeremy Irvine
Attore inglese poco più che ventenne noto per la serie Life Bites. La famiglia Narracott è completata dai navigati Peter Mullan ed Emily Watson. David Thewlis è il proprietario terriero senza cuore.
In guerra Joey incontra Benedict Cumberbatch, Tom Hiddlestone (il malvagio Loki in Thor e presto in The Avengers), Eddie Marsan, Niels Arestrup e la giovanissima Celine Buckens, ragazzina da tenere d’occhio che interpreta la piccola Emilie.
Come successe per I ponti di Madison County (film su cui Spielberg lavorò a lungo prima di arrivare nelle mani di Clint Eastwood), War Horse è un romanzo non memorabile. Grazie a un grande cineasta diventa un magnifico affresco storico e intimista. Alla maniera di John Ford.