Dopo il grande successo di critica e pubblico di Una separazione, con tanto di Oscar come Miglior Film Straniero a coronare un percorso ricco di riconoscimenti, Asghar Farhadi arriva in concorso a Cannes con Le Passè, storia, guarda caso, di un’altra separazione, questa volta tra una donna francese e il serafico marito iraniano. In questo scenario, si inscrive il tormentato rapporto tra lei e il suo nuovo compagno, Samir, diviso tra l’amore per lei e gli obblighi verso la moglie, in coma dopo un tentato suicidio.
Ambientato in una Parigi vaga, sfondo di una struttura teatrale con una netta divisione in atti, Le passé non riesce a trasmettere lo stesso stato di tensione che era la forza del film precedente, sorta di thriller della vita di coppia che raccontava di fatto l’Iran stesso, scenario culturale e sociale lontanissimo dalle concezioni europee. Elemento quest’ultimo che viene a mancare qui e che indebolisce molto una narrazione che riesce comunque ad essere coerente fino all’incomprensibile sequela di colpi di scena finale che vorrebbero trasformare il film in un raffinato melò, ma che contribuiscono invece ad appesantire un’opera in gran parte dignitosa.
Un’operazione per certi versi simile a quella di Un sapore di ruggine e ossa, ma a cui manca lo spessore, l’equilibrio e la maestria di Jacques Audiard, a cui naturalmente non può ovviare la presenza di Tahar Rahim nei panni del marito diviso tra vita e morte delle donne che ama. Sono proprio gli attori, comunque, la nota positiva del film, dalla bellissima e brava Bérénice Bejo a, soprattutto, Ali Mosaffa, notevole nei panni del saggio ex marito che fa da tramite tra la cultura europea e quella mussulmana. Uno spot a favore degli iraniani che non credono nel regime di Ahmadinejad, molto voluto, un po’ forzato, ma in fondo necessario.
Alessandro De Simone